Nel 1995 il fenomeno “Guns N'Roses” si apprestava a subire una brusca frenata. La band era in tumulto per numerosi problemi, e il suo carismatico chitarrista riccioluto se né stava per andare. Vuoi per incompatibilità di carattere con il leader Axl Rose, vuoi per profonde differenze di vedute musicali, Slash abbandona la band per dedicarsi alla stesura di un album più consono ai suoi gusti e al suo background musicale. A dirla tutta però, il chitarrista aveva provato (con scarso successo) a proporre i brani ai suoi vecchi compagni, registrando però solo un sonoro rifiuto da parte di Axl Rose.

Slash in questa avventura si fa accompagnare da molti membri dei Guns: Matt Sorum (batteria), Gilby Clarke (chitarra ritmica), e anche seppur in modo più marginale, da Duff (basso) Teddy Andreadis (armonica) e Dizzy Reed (tastiere). A completare il tutto Eric Dover. La prima cosa che risalta fortemente è la mostruosa produzione del disco. La Geffen (compagnia anche dei Guns N'Roses), credeva molto in una ipotetica gallina d'oro bis, e produsse un cd tecnicamente perfetto. La pulizia dei suoni è impeccabile, ed è una rarità, in un mercato dove spesso e volentieri ci sono grossi problemi in tal senso. Si apre le danze con un arpeggio di chiaro origine blues, impreziosito dalla voce quasi mistica di Dover. “Neither Can I”, fa subito capire, che la strada dell'album non è copiare i Guns N'Roses, bensì suonare un classico, sporco e grezzo Hard-Rock con l'aggiunta qua e là di blues. “Beggars And Hangers On”, primo singolo, è una ottima semi-ballad , che comincia a far conoscere ai suoi nuovi fan Eric Dover. Il disco continua con l'alternanza di pezzi veloci e aggressivi a pezzi più lenti e ragionati. L'album viaggia su ottimi livelli, e a tal proposito meritano sicuramente più di una menzione: “Monkey Chow”, “Soma City Ward” e “Take It Away” per l'esplosività e il grande lavoro chitarristico. Con “Doin Fine”,emerge tutto lo spirito scanzonato e divertito di una band in ottima forma. “Jizz da Pitt”, prima ed unica canzone strumentale del lotto, è un esercizio di virtuosismo di Slash, che renderà in modo pazzesco nei seguenti Live. Un'altro picco clamoroso dell'album avviene con l'ultima canzone: “Back and Forth Again”. Ballata di quasi 6 minuti, che si contraddistingue con un intro di tastiere molto soft, prosegue con un'arpeggio, per esplodere con l'ennesimo riff ispirato. L'assolo a metà canzone è forse uno dei migliori dell'intera carriera di Slash.

Un album che tuttavia, non è privo di difetti. L'eccessiva lunghezza ad esempio. 14 canzoni, di durata media di 5 minuti, rendono l'album eccessivamente pesante, anche se non si registrano particolari colpi a vuoto. L'impressione è che la band si sia divertita molto a jammare in studio e abbia voluto lasciare intatto quanto di buono prodotto, senza tagli né particolari effetti sonori. Il successo del disco non fù clamoroso e la band si sciolse, dopo un'anno e mezzo di tour mondiale. Tour passato anche nel nostro Belpaese, dove i presenti si ricordano di uno Slash in particolare forma al Pistoia Blues Festival.

In definitiva “It's Five O'Clock Somewhere” è un ottimo album Hard-Rock, che non si presta certamente ad essere studiato nei conservatori, ma che dà piena dignità ad un chitarrista che voleva solamente suonare il suo strumento. Senza fare video ultramiliardari o mostruose campagne marketing, tutte cose alle quali Slash è da sempre allergico. Un disco come questo difficilmente piacerà a tutti i fan dei "Guns N'Roses", ma sono sicuro che raccoglierà numerosi feedback positivi, a tutti gli amanti del rock puro e ruvido. Quello che forse, oggigiorno, facciamo fatica a sentire.

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