4 Aprile 1968, Martin Luther King viene assassinato. James Brown appare in TV su spinta della Casa Bianca per quietare la ribellione dei cittadini afroamericani, riversatisi sulle strade a gridare il proprio dolore, a New York, a Los Angeles, in cento altre città degli Stati Uniti. La sera seguente, Brown cantò a Boston ove le rivolte, gli incendi e le razzie, non si placavano.

Sly Stone, nel suo piccolo, ostile a ogni forma di razzismo e al segregazionismo, qualcosa aveva fatto, visto che nella Family vigevano l’integrazione razziale e sessuale. Quella band, di stanza in California, annoverava bianchi e neri, maschi e femmine insieme. Risultava un esempio efficace, a quei tempi, tanto per gli hippies di Haight Ashbury, quanto per i ragazzi del ghetto. Una piccola rivoluzione culturale, cui contestualmente va aggiunto il sound collettivo che quel gruppo sapeva esprimere.

Secondi, per importanza, solo a James Brown, Sly And The Family Stone sono stati, nella Black Music, figure di raccordo e di evoluzione, avendo unito ciò che fino ad allora era rimasto separato: Soul e Rock.

Texano, Sylvester “Sly” Stewart, dopo qualche sparuta incisione col fratello Freddie, si era fatto notare in California, come DJ dall’originale proposta eclettica e come produttore. Fu tra i promotori dei Great Society di Grace Slick. Nel 1967 forma la Family, di cui sarà il compositore e leader.

L’allestimento del suono era facinoroso, ribollente, solfureo, con strumenti in primo piano e voci, a inseguirsi collegialmente, tra armonie vocali frammentate, un po’ lascive o, al limite, istrioniche, in una eccitante bailamme.

La novità era stata rimuovere l’egemonia della linea elegante e morbida imposta da Stax e Motown, contaminando la logica apollinea della Soul con la creatività debordante, libertaria e selvaggia del Rock (di cui amava recuperare anche gli aspetti scenici e provocatori). Verso l’universalità del Funk. Un Sound elettrizzante, emotivo, commistione di Soul, Blues, R&B, Beat, Pop, musica latina, e, soprattutto, Funk e Psichedelia.

Non sincretismo di generi, ma fusione sonora, scioglimento di essi, con modalità pervicaci e impulsive. Un Funk Psichedelico che passava in modo elusivo da un’atmosfera all’altra, da arrangiamenti jazz ad elettronici, senza affettazione.

Come non ricordare canzoni favolose quali “Dance to The Music” (ha attecchito anche nel mondo dell’animazione), “Everyday People” (ripresa da Aretha e dagli Arrested Development), “I Want To Take You Higher” (il call and response a Woodstook) o “Family Affair” (uno dei primi, se non il primo brano ad utilizzare la Drum Machine). Oppure gli album più rappresentativi “Stand!” e “There’s A Riot Going On”. O i concerti, come al Newport Jazz Festival nel ’69, con Led Zeppelin e James Brown, e poi, ad agosto, a Woodstoock, dove fecero ballare nel fango mezzo milione di persone. Miles li ammirava. Entrando in studio di registrazione per “On The Corners”, dirà di aver avuto in testa James Brown e Sly Stone. Sly influenzerà Curtis Mayfield e i Temptations (soprattutto il loro produttore Norman Whitfield). Anticiperà George Clinton e Prince. La sua importanza, oggi trascurata, non è poca.

Fresh” è l’immediato successore dell’epico e spigoloso “There’s a Riot Going On”. Opera quella contrassegnata da un anima Blues, ribelle, sovversiva; sconfortato affresco di Funk urbano, tra il peso del dramma del Vietnam e l’allerta per la radicalizzazione separatista del movimento per i diritti civili. Quel grido di orgoglio era la risposta smaniata, sobillante, incazzosa a “What’s Going On” di Marvin Gaye, uscito una manciata di mesi prima.

Quando la Epic pubblica “Fresh”, siamo nell’anno di grazia 1973.

La sezione ritmica è cambiata, perché prima Errico, poi il fondamentale bassista Graham (considerato da molti l’inventore dello slapping), se ne sono andati. A rimpiazzarli il batterista Andy Newmark e il bassista Rusty Allen.

Le dinamiche musicali risultano alleggerite, accoglienti. Certamente meno chiassose e confusionali rispetto al passato. Solite melodie concise, stringate, essenziali ma orecchiabili, flessuose, duttili, pronte, aperte. Sly qui sta in bilico tra Pop e Funk. Seppur si presenti un po’ più nei canoni, non per questo risulta così convenzionale.

Riprende, in modo un po’ attenuato, il tema sociologico ben focalizzato nel predecessore

Tra i brani, mai privi di bellezza, spicca “If It Were Left Up To Me”: la sorella Rosie a guidare i cori, cadenze sensuali e abbacinanti. Slanci lirici di lei contrappuntati stolidamente da lui. Brano bellissimo, ovattato, ma arioso. Accattivante, con l’inusitata sintesi, in due minuti soltanto, di morbidezza felina e slancio cherubico.

“If You Want Me To Stay”, basso robusto e nodoso, voce calda di Sly e vocalizzi femminili lascivi, a tratti rabboniti; il piano in risalto della attraente Rosie Stewart (dalla vistosa capigliatura bionda) distilla note chiare, innocenti, mentre i fiati, sullo sfondo, ondeggiano con fremiti zigzaganti e brevi apnee.

“Skin I'm In”, sax di Jerry Martini e tromba di Cynthia Robinson in evidenza: scombussolanti, nitidi, puliti, incisivi e penetranti.

Que Sera, Sera (Whatever Will Be Will Be)” lenta, svagata, dolce, anzi smielata, col coretto un tantino vizioso e ammiccante. Cover di Doris Day che la cantava nel film di Hitchcock, “L’Uomo Che Sapeva Troppo”.

All’album arrise il favore delle charts (n°7 nella classifica USA, n°1 in quella R’n’B). Ma, dopo “Fresh”, la Family sarà allo sbando; nel ’75 l’ultimo sussulto, poi sporadici ritorni e qualche collaborazione, fagocitati, perlopiù, proprio da quel Funk che, sostanzialmente, Sly aveva inventato.

Problemi psicofisici, megalomania, pressioni della casa discografica, pressioni dalle Black Panther che lo pretendevano tra i propri portavoce, problemi di droga, guai con la giustizia, uno stile di vita dispendioso, minavano, con evidenza, la stabilità di Sly già dai tempi di “Stand!”. Con “Fresh”, muovendosi tra Funk e Pop, si dimostra ancora capace di scrivere belle canzoni, non banali.

Come per altri artisti, quella di Sly sarà la storia, ad un certo punto, di un uomo che, per le sue ali da gigante, non potrà più avanzare di un passo.

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