Quel loculo era una topaia pregna dell'odore più marcio che una mezza dozzina di corpi umani in vita potessero generare. Roba che se ti passavi la mano sui capelli e poi la agitavi sopra l'insalata era già bella che condita con olio, sale e tutto il resto. Lo stanzone dove i genitori ci lasciavano trascorrere i mesi estivi era pieno di tutte quelle cose che, una volta comprate e masticate per un lasso di tempo più o meno lungo, erano state infine digerite e cacate, quaggiù, lontane dagli occhi e dalla memoria. Perché talvolta anche solo il vedere come si sono sputtanati in modo inverecondo i soldi può far male al cuore ed ingrossare la bile. In quella stube, insonorizzata alla bell'e meglio, potevamo fare tutto il casino che volevamo ed è lì che con uno stereo mai domo e sempre acceso abbiamo passato le estati più piene delle nostre vite. Bevevamo benzina da un bel po' di ottani con una sigaretta in mano e carta vetrata delle fattezze di un bel paio di riff abrasivi per pulirci la bocca. Quell'anno era uscito un cd di punk rock tirato ma con una punta di melodia che ci fece impazzire. Me la ricordo ancora la cassetta copiata, con il titolo scritto per metà visto che era troppo lungo per poter rimanere racchiuso in quella strisciolina di carta. Social Distorsion, con la esse, il nome: l'inglese in un paesucolo di provincia alpina in mezzo al buco del culo del nulla non era ancora arrivato ed internet non c'era mica e se c'era, la connessione era un lento e vischioso lusso mica alla portata di tutti.

Giornate intere a scrivere brani tutti uguali in inglese maccheronico stuprando e maltrattando un paio di chitarre. Due sei corde sbilenche, storte, voci marce e tossiche che volevano cercare di imitare Mike Ness ed i Social Distortion (con la t stavolta): i nostri idoli del momento. Le nostre ragazze o erano totalmente deficienti o ci amavano davvero, altro che le nostre attuali compagne/mogli, perché restare su quel divano sfatto a sorbirsi ininterrottamente dieci ore di ferraglia infernale non ha altra spiegazione plausibile. Finito il demo eravamo convinti di avere dato alla luce un nuovo capolavoro della musica e cantare alla sagra del paese. Beh, quella era solo la prima tappa di una carriera sfavillante ormai in rampa di lancio.

Nati nel 1978 i "Distorsione Sociale" li ho conosciuti per la prima volta proprio in quell'estate del 1997 quando ho consumato con la mia combriccola il già citato, o forse no se ben rileggo, "White Light, White Heat, White Trash": chiara presa per il culo/tributo sarcastico ai Velvet Underground. Mi sono subito innamorato di quel muro sonoro imponente generato dai riff di Ness/Dannell. In questo album è innegabile constatare un appesantimento del sound che si avvicina rispetto al passato ad un hard rock con forti tinte punk. Ricordo la mia ugola urlare di dolore quando si sforzava di far uscire quel rantolo incazzoso, arrugginito ed al contempo melodico mentre cantavo le strofe di "I Was Wrong": una sorta di mea culpa per gli errori del passato del frontman della band che ebbe enormi problemi di droga. E come potrei spazzare sotto il tappeto (la memoria) il pogo selvaggio con gli amici mentre filava in un lampo "Don't Drug Me Down": un brano contro coloro i quali cercano di trascinarti giù nell'oblio e non ti accettano per quello che sei. Reminiscenze di punk classico in "Through This Eyes" che in tre minuti senza variazioni carica l'ascoltatore. La band di Mike Ness in quest'ultimo lavoro con Dannell alla chitarra alterna pezzi maggiormente cadenzati e melodici ("When The Angels Sings" e "Crown of Thorns") ad altri decisamente più metallici ed abrasivi come "Down On the World Again", "Pleasure Seeker" e "Gotta Know the Rules" che riportano alla mente per testi e sound l'esordio di "Mommy's Little Monster" di tredici anni prima.

A differenza della maggior parte delle band dedite a questo genere i Social Distortion nel tempo hanno avuto il coraggio di innovarsi aggiungendo al loro repertorio di inizio carriera inserti country, cowpunk, blues dando enfasi ad una maggiore vena melodica (Cfr. "Prison Bound" e "Somewhere Between Heaven and Hell"). Altro fattore che li differenzia dalle formazioni punk rock è la stitica produzione che ha caratterizzato la loro carriera; facendo passare qualche anno tra la nuova uscita e quella precedente i Social Distortion sono una di quelle poche band che può vantare una discografia di ottimo livello e senza scheletri nell'armadio.

Più di una volta mi è toccato sentire dal saccente topo di biblioteca di turno, (nella maggior parte dei casi un nerd che non ha mai toccato, per carità v'è il rischio di peste bubbonica, uno strumento musicale in vita sua), affermare con tronfio egocentrismo manco avesse la verità in tasca che la musica adolescenziale non dovrebbe essere ascoltata in età adulta. Beh io sono cresciuto con i Soundgarden, i Rem, gli AC/DC, i Metallica, i Nirvana, i Faith No More, i Jam, i Black Sabbath e mille altri che hanno fatto da colonna sonora alla mia gioventù e che me li ascolto ancora. E quando metto sullo stereo un album come "White Light, White Heat, White Trash" mi sembra di leggere un celebre romanzo di Oscar Wilde; solo che sono io il quadro che invecchia al posto del Dorian Gray di turno che invece, bastardo, continua a girare con l'immutata leggerezza di un tempo!

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