Seguendo la strada maestra indicata dai Jesus and Mary Chain, fatta di suoni stratificati di chitarre intrise di feedback su cui si innestavano melodie dal sapore squisitamente pop, i due giovani chitarristi Jason Pierce e Pete “Sonic Boom” Kember avevano dato vita al progetto Spacemen 3. Nei primi lavori della band, il sound caratterizzato da muri di chitarre distorte era forse ancora troppo debitore dell’eredità dei “padri” sopracitati e troverà una completa e personale maturazione solo a partire da questo disco: un concept-album sull’ esperienza dell’ overdose.

Le atmosfere rarefatte, le divagazioni tipicamente trance, lo spaziamento in diverse direzioni stilistiche hanno dato maggiore eterogeneità al classico repertorio del gruppo che, con The Perfect Prescription, ha dato vita ad uno dei più interessanti lavori della musica psichedelica degli anni ’80.

L’adrenalinica “Take me to the Other Side” che apre il disco si muove con grande vigore su un sottofondo di riverberi radioattivi di chitarra e, insieme a “Things ‘ll Never Be the Same”, dove elettriche increspature nevrotiche disseminate in un paesaggio sonoro vicino all’orgia rumoristica pungolano un cantato di inquieta solitudine, saranno gli unici due pezzi in cui è possibile riconoscere i “vecchi” Spacemen 3.

La deliziosa “Walkin’ With Jesus” è una ballata dove chitarra acustica ed un sommesso organo portano l’ascoltatore a braccetto tra le nuvole ed è seguita da un'altra romanza “Ode to Street Hassle” in cui il motivo di chitarra viene reiterato in loop all’unisono con l’organo mentre un baritonale canto-parlato dà una tangibilità materica al pezzo che sembra quasi l’altra faccia della medaglia del precedente.

“Ecstasy Symphony/Transparent Radiation (Flashback)” è uno splendido pezzo che prende il via da territori Kosmic-music per poi dispiegarsi in un climax carico di riviviscenze e di emozioni grazie ad un intreccio di rara bellezza ed eleganza tra canto bisbigliato, violino e pianoforte. E’ come se l’assunzione di droghe, arrivati a questo punto del disco, raggiunga il picco per quanto riguarda la stimolazione dei nostri centri psichici ed emozionali.

Questo stato di grazia si propaga anche al nostro corpo nella successiva “Feel so Good”, in cui calme voci dal potere quasi benefico, chitarre acustiche ed un’ovattata tromba danno un sensazione di quieto torpore alle nostre membra.

“Come Down Easy” è un’ ariosa cavalcata country appena “bagnata” nella parte centrale da sbruffi elettronici. Il disco si conclude con “Call the Doctor” in cui la voce con un eco spettrale e una chitarra che tende man mano ad un controllato impennarsi, danno la suggestione di essere l’anima che sta lasciando il proprio corpo in coma a causa dell’ overdose e che lo stia a guardare a mezz’aria.

Splendido disco, ma per che chi scrive i successivi Playing With Fire e Dreamweapon sono ancora meglio...4stelle!

Carico i commenti... con calma