"Ciò che è inconcepibile, dell'universo, è che esso è concepibile. "

Il passato fotografico di Kubrick viene ben rappresentato dalle immagini quasi statiche del viaggio infinito verso l'ignoto della Discovery, dandoci un senso d'angoscia di vuoto e di noia che deve essere tipico delle lunghe traversate interstellari, insomma la stessa noia che si prova al terzo giorno di una crociera.

Il Monolito nero è sempre presente è Dio, è la Radice dell'Essere, il Numero, la Coscienza, la Tavola della Legge e il Primo Mattone dell'Universo.

Veniamo catapultati verso il futuro dopo che i nostri avi, raggiunto l'intelletto, la consapevolezza di esistere sprecano il tutto inventando le armi per difesa ma soprattutto per offesa, e allora l'osso scagliato nel cielo dall'uomo scimmia si trasforma in una navicella spaziale che prende parte ad un balletto incredibile planando dolcemente verso la stazione interlunare, una nota a parte merita anche la scelta del Bel Danubio Blu di Strauss come colonna sonora di questi lenti e suggestivi minuti di pellicola.

Sulla luna il monolito è un radio faro puntato a Giove ed è da qui che l'avventura inizia, ma questo non è proprio un film d'avventura o fantascienza, si viaggia più a fondo nei sentimenti umani, quando David decide di smantellare Hal 9000, il supercomputer colpevole di omicidio, rimette la macchina in soggezione rispetto all'uomo, qui il regista decide di non farci vedere un uomo indaffarato nel togliere i contatti ad una macchina ma, solo un occhio rosso ipnotizzante, mentre Hal regredisce fino all'infanzia intonando una nenia da bambini prima di spegnersi.

La morte di Hal è la parte più drammatica del film quasi morisse un uomo , come se un Pc avesse sentimenti. Nel 1976 Asimov scriverà uno dei suoi migliori racconti su i robot "L'Uomo Bicentenario" dove un robot tenterà di avere sentimenti, così come Hal, in questo film. Quando, sul finire del film, David vaga spaesato nella casa stile Luigi XVI preparata per lui dall'intelligenza superiore deve ancora comprendere cosa è cosa deve fare e l'immagine del Bambino della Stelle coi suoi stessi occhi dovrebbero illuminarlo ma, lui ancora non sa, come il suo progenitore nel cenozoico, ancora non sa ma immagina che qualcosa gli verrà in mente.

Allora anche io capisco, capisco la Kelevala finlandese il Mulino di Amleto che macina sotto il Maelstrom (il grande gorgo), il frassino che passa per il centro e si perde allo Zenit. E allora sono tutti gli uomini vivi e tutti i miliardi di defunti del passato, sono Utnapistim, Gilgamesh, Osiride, Iside, Thor, Kronos, Saturno, Zeus e Cristo guado lo Stige il Nilo o la Via Lattea tengo nelle mie mani questo mondo e capisco.

(era il 1968 l'anno dopo un emozionatissimo Tito Stagno ci narrerà, in diretta via satellite, dei primi polverosi passi umani sulla luna)

L'uomo non si arrende. Quando scopre milioni e milioni di remote galassie, e poi le radiosorgenti quasistellari distanti miliardi di anni luce che sopraffanno la sua mente, egli è felice di poter attingere simili profondità. Ma paga un prezzo altissimo per i suoi successi.

Le parti in corsivo non sono mie.

Mi hanno aiutato per questa "recensione":

Albert Einstein

Giovanni Grazzini, corriere della sera 13-12-1968

Pietro Bianchi, il giorno 13-12-1968

Alberto Moravia, l'espresso 29-12-1968

Mario Monti, prefazione all'edizione italiana di: 2001 odissea nello spazio, Longanesi & c 1972 (le pagine ingiallite oramai si sfaldano)

Giorgio de Santillana & Hertha von Dechend, il mulino di Amleto (saggio sul mito e sulla struttura del tempo) Adelphi 1983

Isaac Asimov.

Arthur C. Clarke

Sopratutto mia moglie che ancora mi sopporta.

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