IL LATO OSCURO DELLA LUNA

Era il 20 luglio 1969 quando l'Eagle, il modulo lunare della navicella Apollo 11, scivolò sulla sabbiosa e grigiastra superficie della Luna.

Neil Armstrong scendeva a piccoli passi da una scaletta quasi verticale poggiata su di un suolo che pareva fatto di cenere. In lontananza, lo sfondo era nero come il catrame, null'altro che una mano di scura vernice. Dopo essere sceso, l'astronauta mosse i primi soffici e incredibili passi. Buzz Aldrin, lo seguì poco dopo.

Uno dei momenti più misteriosi ed emozionanti che l'umanità ricordi. Culmine e principio di un'epoca inenarrabile, fondamento ed elevazione di un'idea folle e strabiliante, a tratti innocente, morbida come una fiaba, concezione rivoluzionaria e iperscientifica di un pensiero ancestrale. Religioso. Blasfemo. Eterno. L'inizio di una nuova era.

Anziché domandarsi se siamo realmente stati sulla Luna (le teorie del complotto possono insinuare più di un dubbio sul numero effettivo di fotografie e riprese lunari e sul contenuto pregno di sensazionalismo di alcune di esse, ma non possono adoperare la fisica a loro piacimento, soprattutto, non possono evitare di dimostrare in modo scientifico, quindi empirico, il fatto che quegli uomini siano stati sulla Luna, qualora siano entusiasti dell'intento e certi dell'operato, al di là della indiscutibile spettacolarizzazione, delle immancabili rettifiche e delle numerose modifiche atte a impreziosire l'estetica della confezione e ad amplificare la portata scenica dell'evento), ebbene, dovremmo interrogarci su quesiti di ben altra caratura. Dilemmi d'inaudita grandezza e supremo valore, che richiederebbero stoico raccoglimento e indomita e caparbia persistenza.

Chi siamo?

Albert Einstein: "Una volta che accettiamo i nostri limiti, li superiamo".

Essere consapevoli dei propri limiti è una condizione essenziale per l'uomo. Siamo esseri consci dei medesimi loro limiti e, ragione imprescindibile, l'ineludibilità della morte rammenta di tale dolorosa e irrimediabile condizione attimo dopo attimo, istante dopo istante, respiro dopo respiro.

Il cammino della conoscenza umana è basato proprio sull'accettazione di quella fatale e primitiva e insufficienza, e per quanto l'uomo possa combattere per conoscere e dunque tentare di oltrepassare i suoi limiti, non riuscirà mai a soddisfare pienamente quel desiderio meraviglioso e terribile, nemmeno mediante la più spregiudicata e affascinante delle imprese.

Un essere 'finito' che brama l'infinito.

La magnificenza e la tristezza dell'essere umani, incatenati a una sorta di sconfinato e imperituro arcano, a un enigma senza tempo, perpetuo e indistruttibile.

Lo sbarco sulla Luna è legato a doppio filo a Stanley Kubrick, uno dei più grandi registi di ogni tempo, forse il più grande, e alla sua immortale opera 2001: Odissea nello spazio.

Una parte consistente della teoria cospirazionista sul falso allunaggio prevede la straordinaria partecipazione del regista di Spartacus e Lolita: egli sarebbe stato, in concreto, a organizzare la messa in scena degli astronauti sul suolo lunare. Una prova interessante sarebbe da ricercare nelle tracce che Stanley Kubrick avrebbe seminato nella realizzazione del controverso e terrificante Shining, nel 1980, tra cui la palese e angosciosa raffigurazione del proprio 'Mea Culpa' attraverso il disegno del missile con la dicitura Apollo 11 ricamato sulla maglia di lana del protagonista, il piccolo Danny.

Secondo chi scrive, il momento più inquieto -se non agghiacciante- di 2001... è da ricercarsi nelle fasi immediatamente successive alla distruzione di HAL9000: dopo la morte degli astronauti ibernati e la caduta nel vuoto di Frank, l'unico pilota superstite, David Bowman, in un'ardimentosa e risoluta azione di salvataggio e rappresaglia, avanza in direzione del vano circuiti della memoria del supercomputer di bordo e li disattiva uno alla volta, malgrado le suppliche e le impetrazioni di un HAL tutt'a un tratto disperato e inguaribile. Nel sidereo dramma di quegli attimi concitati si compie la trama dell'incommensurabile narrazione galattica di Kubrick: un messaggio preregistrato illumina David sul reale obiettivo della missione, di cui solo HAL 9000 era a conoscenza.

Il supercomputer di bordo della nave spaziale Discovery, denominato HAL9000 (acronimo per Heuristic ALgorithmic), è una figura onnipresente che vigila sull'intero equipaggio attraverso un occhio rossastro (come una versione progredita del Grande Fratello orwelliano) e dispone di una portentosa intelligenza artificiale che gli permette di ricreare tutte le attività della mente umana e di provare emozioni molto simili a quelle dell'uomo. In apparenza, egli è privo di sentimenti e cura esclusivamente l'elaborazione dei dettagli e i parametri riguardanti il compito che gli viene affidato, tuttavia sembra che egli nasconda un'indole proibita e contraddittoria: se all'esterno HAL trasmette imperturbabilità, sicurezza ed efficacia, al suo interno si scatenano ansie, incertezze e paure, caratteristiche tipiche della natura umana. E l'istinto distruttivo degli uomini avvolgerà anche la sua triste figura, che nulla potrà tentare (al contrario di Bowman) per districarsi dalla fitta ragnatela della coscienza.

Diverrà anch'egli un distruttore. Massacrerà l'intera squadra di cosmonauti prima di essere ucciso per mano di David.

Era soltanto il 1968 (circa un anno prima dei fatti in questione), ma Stanley Kubrick stupì il mondo intero con il già citato 2001..., capolavoro assoluto del genere fantascientifico e pietra miliare dell'arte contemporanea, cosicché furono in tanti a obbedire alla stravagante teoria secondo la quale molte delle tecniche scenografiche utilizzate nella storica pellicola sarebbero confluite nella realizzazione della fraudolenta missione sulla Luna.

Tutto questo e molto altro, senza neppure rendersi conto che la documentazione ufficiale della NASA è di gran lunga superiore a qualsiasi produzione cinematografica prima e dopo il 1969. Nessun film di fantascienza, se non gli ultimissimi blockbuster, è capace di ricreare il clima, l'ambientazione e i movimenti del dell'approdo lunare. Almeno, non quella rudimentale spontaneità.

Non sapremo mai se è davvero successo qualcosa di misterioso e inenarrabile quel 20 luglio di cinquant'anni fa.

La certezza del delitto è nelle mani di una corporazione invincibile.

Napoleon è uno dei tanti film che Stanley Kubrick ambiva a mettere in scena ma che, alla fine, non hanno mai veduto la luce -nella fattispecie, si rifletta su di un'opera incentrata sull'Olocausto e su di un sorprendente trio di sceneggiature che trattano il tema matrimoniale e sono state rinvenute proprio pochi mesi fa.

Ebbene, Napoleon avrebbe dovuto essere il capolavoro assoluto di Stanley Kubrick, la sua opera omnia, fatica colossale costruita sulla vita del famoso condottiero d'oltralpe, Napoleone Bonaparte. Un personaggio di cui il regista non ha mai celato essere grande estimatore.

A ragione, da veemente appassionato dell'artista naturalizzato inglese (e mente geniale, tra le altre maestose opere, del più struggente e addolorato film di guerra nella storia del Cinema, Orizzonti di gloria, probabilmente il più disperato e commovente manifesto di denuncia contro la guerra che sia mai apparso su uno schermo), ho sempre provato un forte senso di smarrimento e dispiacere per la scelta di Kubrick di non proseguire l'approntamento di Napoleon, un film che avrebbe inciso il suo titolo a caratteri cubitali sulla millenaria pietra della leggenda.

Certo, di lì a pochi anni avremmo potuto ammirare Barry Lyndon, ma questa è tutta un'altra storia...

"GOTT IST TOT!", la morte di Dio, evento significativo e inscindibile per l'economia feroce del concetto nicciano.

IL LATO OSCURO DELL'UOMO

2001: Odissea Nello Spazio può essere definita, in un certo senso, la trasposizione cinematografica di Così parlo' Zarathustra del furibondo e irraggiungibile filosofo tedesco, il pensatore maledetto, lo spirito di fuoco, l'irriducibile e sovvertitore Friedrich Nietzsche.

Se il suo "superuomo" od "oltreuomo" non era che un nuovo archetipo umano che si ponesse "al di là del bene e del male" e racchiudesse in sé la tumultuosa natura incorporea di Dioniso, potremmo identificare nel trionfo di Kubrick la ricerca finale dell'übermensch, l'uomo come "qualcosa che deve essere superato" per fare spazio a un nuovo grado dell'evoluzione umana.

2001: Odissea nello spazio è forse, tra i miei preferiti, il film che ho visto meno volte. Meno di Apocalypse Now, di Casinò, de Gli spietati, de L'uomo che uccise Liberty Valance, di Pat Garrett e Billy the Kid, de Il mucchio selvaggio e de Il tesoro della Sierra Madre. Meno di The Hateful Eight e di Non è un paese per vecchi. Meno anche di The Irishman, perchè non ho Netflix.

Meno dei film di Tarkovsky. Che possiedono un senso della poesia e una ricerca spirituale che questo mondo corrotto non accetta. Non può accettare. Perchè non è in grado di comprendere.

È il film che vedo meno perché, come l'opera di Tarkovsky, non è semplice da metabolizzare. Avrei bisogno di tempo, più tempo, prima e dopo il film; prima, per prepararmi alla visione, e dopo, per riprendermi dallo scuotimento.

Stanley Kubrick ha realizzato il primo di una serie ininterrotta di straordinari capolavori, che inizia da qui, passa per Arancia meccanica e Barry Lyndon, e arriva a Shining e Full Metal Jacket. Qualcosa che ci costringe a fare i conti con la nostra parte nascosta, con l'Ignoto che è al centro di noi stessi. La siderale profondità dell'Io. Apollo e Dioniso che si scontrano all'ultimo sangue all'interno di un teatro universale, fino alla nascita astrale e primitiva del Bambino delle Stelle. La seminale goccia termodinamica che impregna le ovaie radioattive dell'Infinito. Il sacrificio di Cristo attraverso il millenario flagello del monolito che scorre sulla pelle di lucertola delle galassie. Icaro che precipita. Fino alla sala elegante e ultramoderna dove Bowman osserva se stesso lambire l'inconsistenza spazio-temporale della propria esistenza illuminata. Passato, Presente e Futuro, in un battito d'ali che spalanca e occlude eternità glaciali e animalesche.

Questa è un'opera che si sostituisce alla vita, una bibbia sepolcrale e galattica che gli uomini curiosi, che si sentono sospesi tra la bestia e il superuomo, dovrebbero leggere giorno dopo giorno, in raccoglimento. Non è un film, un semplice film. È la resa dei conti fra le scimmie e gli astronauti, il buio dell'anima e il lume della ragione. Istinto di conservazione e sprezzo del pericolo. La rivoluzione cinematica di Kubrick nel dilatare i tempi e le scene, nel preparare minuziosamente le inquadrature (da superlativo fotografo qual era) e nel chirurgico avvicendamento delle immagini, si compie nella monumentale sublimazione del messaggio suo profetico e soprannaturale: con uno degli stacco impetuoso e irrefrenabile, l'alba degli uomini si unisce agli albori della civiltà spaziale. L'osso diventa una navicella. La Conoscenza è il fine, la violenza è il mezzo. L'arma del passato diviene quella del futuro. La lotta per la sopravvivenza continua.

Che ognuno sia l'Arciere della propria Odissea.

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