"La vera orchestra del Titanic suonava e i passeggeri abbandonavano la nave. Suoniamo noi e il pubblico per lo più resta fino alla fine dello spettacolo. Troviamo che questo faccia una bella differenza e siamo già contenti così".

Il Bollani me lo ricordo in un concerto di piano-solo nel dicembre del 2004. Presentò così un suo brano: "Il prossimo pezzo che vi suonerò si chiama 'La sagra di Paolòpoli', ambientato in un paese immaginario dove tutti gli abitanti hanno la faccia di Walter Paoli, che è un mio amico, vabbè voi non lo conoscete, ma insomma fidatevi". Alla fine della serata, in seguito a una richiesta di bis, chiese al pubblico di suggerirgli una decina di brani musicali di jazz, ma anche di altri generi, classica, leggera ecc. Che poi lui avrebbe riassemblato seguendo (parole sue) "un rigoroso procedimento basato sul logaritmo di tre". La sala venne giù dalle risate, ma poi le proposte ci furono, ed il nostro si esibì in una performance di oltre dieci minuti, completamente improvvisata, in cui si sentivano echi di Beethoven, Billie Holiday, Renato Carosone, Bach, Elton John, e chi più ne ha più ne metta.

Questo è Stefano Bollani. Grande, fantasioso pianismo, ma anche tanta voglia di divertire e di divertirsi, tanta ironia e (specialmente) autoironia. E ancora, voglia di libertà, di uscire da tutte le gabbie mentali, dai paludati panni nei quali pubblico e critica hanno da sempre inchiodato il jazz.

Ed è la riunione di un gruppo di amici, prima ancora di un summit di raffinati musicisti, a farla da padrone in questo lavoro del 1999. Attenzione però: questi ridono e scherzano e si prendono poco sul serio, ma quando si mettono a suonare non ce n'è più per nessuno... A partire da quel geniaccio di Antonello Salis, eccellente alla fisarmonica, perenne maglietta senza maniche anche in gennaio, bandana in testa, volto ligneo ed impassibile, ma che musicista ragazzi! Per continuare con il raffinato bassista Lello Pareti (un artista da tenere d'occhio), il batterista Walter Paoli (quello de "La Sagra...") ed il graffiante chitarrista Riccardo Onori.

Scaletta effervescente, manco a dirlo: "La sagra di Paolòpoli", ormai un classico del nostro, "Il Barbone Di Siviglia", ispirato alla vera disavventura di un imberbe Bollani al quale, appena arrivato in Spagna, fregano tutti i soldi e i vestiti. Notevole l'assolo ne "I Viaggi Di Gulliver", con il leader che affibbia alla tastiera due o tre "zampate" da par suo, e micidiale l'interplay con Salis, qui come in molti altri momenti del disco.

Le composizioni sono piuttosto inusuali e riflettono molteplici stili ed influenze, frutto delle più disparate esperienze con il jazz, il rock ed il pop che il pianista ha accumulato negli anni. Bollani ha il pregio di far sembrare facile il difficile, giocherella, butta lì una frasetta, un grappolo di note, e intanto costruisce delle "bombe ad orologeria" armoniche e ritmiche, pronte ad esplodere pilotate dall'estro dei solisti. Immancabili poi, i riferimenti alla canzone italiana tradizionale, come testimoniano i brevi momenti di "Piove" di Modugno e "Anema E Core".

E ancora: "Prima O Poi Io E Te Faremo L'Amore", brano accattivante e sornione come il titolo che porta, con la chitarra bluesy di Onori in bella evidenza, "17 Ore", che potrà ricordare alcuni lavori di Pat Metheny, scritto dopo aver trascorso 17 ore con una certa Marina... A parlare!

Atmosfere vagamente metheniane anche per "Comunicazioni Interrotte"; commovente "Natale In Casa Cappelli", un brano di Lello Pareti che si apre con un ispirato intro di Salis, si sviluppa come un malinconico carillon, sul quale tutti i solisti a turno danno un prezioso contributo, per terminare di nuovo con un borbottante e sapido Salis.

Nonostante l'eterogeneità delle composizioni, il disco mantiene una sua rilassata e piacevole compattezza, con i temi che sembrano scivolare l'uno nell'altro. Un gran bel lavoro, che si apre a trecentosessanta gradi su tutta la musica, e sul mondo, mi verrebbe da dire...

Un disco di jazz? No, molto, molto di più. 

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