Stone Machine Electric è tornato per sfondare il muro del suono del 2020 e transitare nel 2021 con un denso album doom fatto alla loro maniera, e cioè infarcito di incombente cupezza fluida.

Non si preoccupano molto se i pezzi, tre, sono lunghi affondi nel profondo della cozmik muzik incaricati di dissolvere le attese temporali, le scadenze e il battito impaziente della frenesia. Essi cavalcano tranquilli assorbiti dal maelstrom siderale come meduse spaziali di color trasparente-violaceo, armonizzando quel che è la naturale missione spirituale evolutiva che gli appartiene, il viaggiare perennemente annullando lo spazio-tempo, e qualsiasi altro riferimento di sorta, in contemplazione degli eventi cosmici.

Quindi eccoli impegnati nel Journey on the Nile assecondando chorus e munifici riverberi, riff incalzanti ed allunghi a passo di gigante tra i pianeti, risultando micidiale il grande empowerment digressivo, la loro favolosa 'great gig in the space'.

Il contraccolpo scoccato dalla batteria metodica, e mai caotica, espunge il filo conduttore basale, in virtù del quale la chitarra spumeggia sfilando traiettorie magmatiche connessa ai toni distopici sub-cerebrali, superando in meglio l'attitudine jazz che li contraddistingueva a favore di un ossimoro catartico di rara bellezza, spaccato delle nuove personalità che dialogano distanti 'in & out', il frutto della metamorfosi in atto.

Antiche piramidi hanno fatto il loro corso, colori metafisici propri della natura galattica attecchiscono sui ruderi che furono di ex-colonie imperiali di regni interspaziali persi nella memoria sovrumana, e gli immensi fiumi disseccati - al momento scrutiamo il fu Nilo presso la quinta dimensione - a causa della desertificazione atomica [colpa della impareggiabile Desert Records] che ha generato solarismi e buchi neri tra di loro incrociati, favoriti in ciò dalle danze innescate dall'attrazione corpuscolare dei gravi, non appena il magnifico incommensurabile buio incontra l'imperituro detonare delle albe sonore, ragion di nascita, crescita e sviluppo.

Dub (Guitar/Vocals) e Kitchens (Drums/Vocals/Keyboard/Theremin) stanno vivendo certo un momento molto particolare e importante per la personale progressione, sotto ogni aspetto. Musicalmente sono posizionati in quel luogo prossimo allo stato di arrivo scaturito dalla sublimazione delle idee e che si ripercuote seriamente sulla loro fisicità, imputata di filtrare il circostante; inoltre, direi che il duo non si trovi più fisicamente in Texas, dove dice di abitare, ma nel meta-confine siderale, tra le stelle e le supernove, auscultando buchi neri e piogge fotoniche a tutto vantaggio del titolo dell'opera, oltremodo tesi alla ricerca di frequenze mai udite: "Le inspiegabili vibrazioni delle frequenze nell'Oltretomba cosmico".

At Crystal Lake emana il probo senso di calma vibrazionale cariocinestetica, o bi-estatica, direi a questo punto. La sezione portante incide un codice suonato che smuove banchi di gasteropodi astrali, mentre le nebulose sospinte dalle vibrisse sonore in movimento ad opera di gatti muonici neri, qui giunti da casa di Carmelita, agiscono come catalizzatori per condensare il passaggio verso la 'non zona', entro il 'non mondo' possibile della rovescia ribaltata.

Assenza di corporeità e unico divino umore che si manifesta sovrastando il silenzio.

Si permane osservando il baluginio di sezioni atmosferiche laserizzate da riflessi atomici dilaganti. La mente si fa suprema, ricaricata di splendore purifica le sue narici sedotte da profumi inusitati.

Il sistema linfatico degli Stone Machine Electric è in lentissimo divenire, preso tra scroscii di piatti e bacchettate emozionanti su questi, allorché il doveroso arpeggio della sei corde appare una necessità motile, e infatti ci trasporta oltre le 7 note che muovono l'universo dei polimenomeni radioscannerizzanti astrali. E' nata una melodia nuova e brucia ciò che non è più presente ad essa.

Il lasciato dietro le spalle si eterna nella cenere cosmica e l'incedere si fa tremebondo; strappare l'impalpabile appare arduo oltre ogni costruzione del pensiero ed è forse un apice troppo ambizioso pure per gli SME.
Ma fortunatamente il viaggetto agli inferi qualcosa di veramente buono lo ha prodotto: prendere un acido con Jerry Garcia in sospensione antigravità. Quale immaginifico incontro!!!

Non disturbiamo Dub e Kitchen in compagnia di Jerry, benché Brian Eno dal pianeta nero invii segnali temporali disturbanti (che gli avrà mai preso a costui? Invidia?) che il prode Dub deve combattere e zittire alzando il tono della spada-chitarra per imporre il proprio comando su tutta l'operazione e non levare sacralità al delicato momento attuale.

E' arrivato il tempo di riprende vigore e quota. La sosta è stata regale.

A presto Jerry, grazie, e saluti sentiti! Ora via, di nuovo in volo alla conquista della meta-metonimia perfetta, sguainando il fervente Free Though dal sapore quantico intenso, quale terzo e ultimo episodio dell'esperienza doom-dogmatica degli SME e che ha assunto il titolo di "The Inexplicable Vibrations of Frequencies Within the Cosmic Netherworld".

A presto, viaggiatori delle cosmogonie ferine.

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