Sufjan Stevens avrebbe potuto essere l'autore più influente e considerato degli ultimi venti-trent'anni. Probabilmente è stato ed è comunque così, ma senza dubbio alcune sue scelte segnano più che la sua bravura come scrittore di canzoni e musicista, quella che è la sua ambizione particolare e che lo rende da questo punto di vista una figura unica tra gli autori contemporanei. Una ambizione che non significa per forza qualche cosa di negativo, ma che è qualche cosa che secondo me nasconde male una certa inquietudine e che lo ha portato prima a proporsi di registrare un disco per ognuno dei cinquanta Stati Uniti d'America (progetto abbandonato dopo 'Michigan: The Great Lake State' e 'Illinoise') e poi a imbarcarsi in progetti sperimentali come la realizzazione di 'The Age of Adz', il progetto Sisyphus (realizzato con Son Lux e Serengeti) e adesso questo disco qui, 'Planetarium', pubblicato lo scorso giugno su 4AD e realizzato in collaborazione con il compositore di musica classica contemporaneo Nico Muhly, Bryce Dessner dei National e il batterista James McAlister.

'Planetarium' è un disco cui potrebbe sembrare difficile accostarsi per il carattere dell'opera, che è sicuramente pretenziosa, proponendosi in effetti come una serie di composizioni di musica neo-classica e d'avanguardia e in cui ogni canzone è effettivamente idealmente dedicata e titolata ai diversi pianeti, la Luna, il Sole e altri corpi celesti come la cometa di Halley, i buchi neri oppure la fascia di Keplero. Ascoltandolo ripetutamente tuttavia si può notare come sostanzialmente questo disco sia invero più avvicinabile e facile all'ascolto di quanto possa apparire. Del resto le variazioni tra le singole canzoni sono minime e l'opera si configura invece come una specie di progetto unitario e suddiviso in diversi capitoli e in cui trovano sfogo generi e atmosfere sintetiche che contornano le canzoni scritte e interpretate in maniera melodrammatica da Sufjan Stevens e che collimano poi in suggestioni ambient nello stile di compositori come Philip Glass, ma anche dello stesso Brian Eno oppure in arrangiamenti orchestrali sontuosi come quelli che ci aspetteremmo di ascoltare come colonna sonora di un film peplum.

Del resto 'Planetarium' è un'opera che va intesa proprio nel suo complesso e di cui i singoli episodi non hanno probabilmente alcun senso se considerati uno slegato dall'altro e in una proposta concettuale che del resto è proprio quella di rappresentare qualche cosa, il sistema solare e il suo 'contorno', i cui elementi non possono essere presi e analizzati anche scientificamente in maniera isolata. Ma lungi dall'essere un'opera dai contenuti di natura scientifica, il disco è più invece quello che si potrebbe definire come un'opera drammatica, intendendo in questo senso la stessa nascita del Sole e dei pianeti avvenuta 5 miliardi di anni fa e come se questo fosse l'evento più tragico e carico di pathos che sia mai avvenuto. Per lo meno entro i confini della fascia di Keplero. Ma la proposta alla fine, ancora prima di finire questo viaggio all'interno del nostro sistema planetario, quando sei una persona che ha quella ambizione che è naturale di ogni essere umano e anche di chi scrive canzoni di spingersi oltre, allo diviene quella di sapere che cosa ci aspetta dall'altra parte. Così questa opera, che nasce e ruota chiaramente attorno alla scrittura e alle visioni di Sufjan Stevens, ha quello stesso carattere sfuggevole che può avere un attimo, un ricordo oppure l'intera esistenza di una stella.

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