I Talk Talk sono uno dei misteri degli anni 80.

Storia di un gruppo che, partendo dall’inferno della pop music primi anni 80 è riuscito, sacrificando fama e gloria, a seguire il cammino del successo, ma a ritroso. Da band di “buona” popolarità a gruppo seminale per tutta una generazione di musicisti e riferimento per il filone ambient/post rock/slo-core.

Nati sulla scia dell’ondata pop a base di synth dei primi 80 (Duran Duran e Depeche Mode tra i maestri), cavalcando le sonorità new wave del periodo, dopo alcuni album terribilmente commerciali (The party is over targato ‘82 e It’s my life targato ‘84) e un paio di famose hit da classifica (“Such e shame” e “It’s my life” su tutte) i nostri cinque eroi (Hollis, Harris, Feltham, Ditchman e Greene) decidono di intraprendere un cammino di purificazione che li porterà ad incidere due incredibili album (Spirit of Eden e Laughing Stock) e, completata la loro espiazione, sparire nel nulla. (non è andata proprio in questa maniera, ma detta così fa più effetto!)

Andiamo per gradi. 1988, i Talk Talk fanno uscire Spirit of Eden. Il lavoro risulta essere non solo lontano anni luce dal facile synth-pop dei lavori precedenti, ma le sue atmosfere dilatate dal retrogusto jazz sembrano fuoriposto anche per quel periodo, la fine degli anni 80.
Ma non è di quest’album che voglio parlare.

1991, Laughing Stock. Quest’album muove i passi da dove aveva concluso il precedente, i nostri Talk Talk sentono la fine della loro espiazione vicina, e l’album è li a mostrarci quello scorcio di paradiso che i nostri devono aver iniziato ad intravedere. Nonostante siano chiari i legami con il precedente lavoro i nostri riescono a non ripetersi, spingendosi ancora più in la nella loro personale battaglia contro la forma-canzone. Infatti tutto tranne che canzoni possono essere definite le sei tracce che compongono questo lavoro. Dalla iniziale Myrrhman, con la voce di Hollis (per me splendida) che si trascina, strascicando, su accordi dilatati di chitarra, quasi un canto che si estende all’infinito, alla più movimentata Ascension day, con la sezione ritmica a scandire un tempo jazz vivacemente malinconico (scusate l’ossimoro) cosi come in New Grass.

Tutto l’album è un continuo alternarsi di canti malinconici, ballate blues e sonorità free-jazz di cui è impossibile non rimanere affascinati, o almeno così sarebbe dovuto essere. Ma, si vede, in quel periodo gli occhi dei media probabilmente erano indirizzati nella ricerca di nuove icone pop piuttosto che di un gruppo in grado di anticipare la musica “slo-core”.
Non fate anche voi l’errore della comunità musicale in quel 1991, e date una possibilità ai redenti Talk Talk di farvi vedere che musica si ascolta lassù, dove la musica pop di massa è solo un lontano ricordo...

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