Estate 1966, Austin (Texas): per la prima volta il termine “psichedelico” viene applicato alla scena musicale. I 13th Floor Elevators incarnano l’idea più spontanea e sincera di psichedelia, forse perché fra i primi a utilizzare l’LSD, e i suoi effetti, come motore propulsivo della musica. Il loro è un tentativo (uno dei primi) di rendere in musica la rivoluzione sensoriale che l’assunzione di acido provocava, fino al punto di rendersi promotori di una “mistica dell’LSD” tramite cui, si legge nelle note dell’Lp, sarebbe possibile “ridiscutere la divisione aristotelica delle conoscenze umane”.

Al giorno d’oggi tali affermazioni possono far sorridere per la loro ingenuità, come anche alcune liriche – “After the trip your life open’s up, you start doing what you want to do” – ma al tempo suonavano molto liberatorie, soprattutto in uno stato conservatore come il Texas. La resa sonora di questi esperimenti di apertura mentale, non ha niente a che vedere con le lunghe jam dei coevi Grateful Dead, ma prende spunto da un suono garage-beat, accompagnato dal costante gorgoglio dell’electric jug (un’anfora elettrificata). Proprio questo strumento dallo straniante suono – che, leggenda vuole, cambiasse tonalità a seconda della quantità di erba in esso contenuta! – fornisce alle composizioni un carattere sottilmente inquietante e profondamente allucinato.

L’album contiene brani ad alta gradazione psichedelica, quali Rollercoaster, Fire Engine (pezzo che si apre con una sirena antincendio!), Kingdom of Heaven o Thru the Rhythm, alternati a perle di puro garage-punk come l’iniziale You’re Gonna Miss Me (chi si ricorda l’inizio del film “Alta Fedeltà”?) o la favolosa Reverberation.

Purtroppo i viaggi di Ericson e compagni durarono l’arco di due album e un postumo: polizia alle calcagna, eccessi di droghe e deliri religiosi portarono il gruppo allo scioglimento e il leader al ricovero in un manicomio criminale. Ma le intuizioni di Ericson rimasero, ispirando negli anni le band più disparate, destino che tristemente lo accomuna ad un altro psiconauta senza biglietto di ritorno: Syd Barrett.

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