Quanto dista? Quanto tempo?

C'era una volta una band. Cincinnati, Ohio, era un posto tranquillo. La leggenda vuole che dei giovani si ritrovino a condividere una cella, una notte di Halloween, quando gli anni '80 ormai entravano nella loro parabola discendente. Fu così che nacquero gli Afghan Whigs...

In realtà non fu così, ma poco importa. Agli esordi più vicini agli Hüsker Dü, tra gli emblemi di quella generazione, pian piano crebbero, raffinando il loro suono, sempre più personale e particolare, sempre più "loro": le chitarre di Rick McCollum si riconoscerebbero tra mille, così come la voce velenosa di Greg Dulli. Crebbero, o forse marcirono, in un certo senso, fino ad incarnarsi in quello che è "Gentlemen". Lavoro insolito per essere uscito in piena era grunge, un disco pieno di immagini e colori vividi, quasi ad avere la pretesa di essere un film, tanto che i credits riportano "shot on location" invece di "recorded in".

La musica è di quelle che entrano subito sotto la pelle, viscerale, capace di vagare all'interno dell'organismo ospite per squassarlo senza pietà o per accarezzarlo dolcemente. Violenta ("Gentlemen", "Fountain and Fairfax") o lenitrice ("When We Two Parted", "I Keep Coming Back"), seguendo l'ego traboccante di Dulli, che a volte sussurra ed altre grida. Canta di rapporti malsani, vomita la sua rabbia, affascina le donne confessando candidamente di essere una testa di cazzo, o giù di lì (ladies let me tell you about myself, I've got a dick for a brain… "Be Sweet"). Un uomo che sputa fiele come pochi, la cui tonalità sguaiata è graffiante come un artiglio. Dulli è il cantastorie che ci guida lungo la strada che serpeggia tra perversione, malizia e compulsione, dove una dipendenza diversa da quella strettamente fisica e sessuale diventa una quasi benedizione ("What Jail Is Like").

Un viaggio in una psiche malata, ingorda e bisognosa, di sesso, di contatto fisico, di attenzioni. Gli Afghan Whigs dipingono il mostro che alberga nascosto in tutti noi: quello che ci soffoca e ci fa mancare il fiato tra infatuazioni dell'ego, rimorsi e coscienze che latitano. Un viaggio che comincia con il soffiare del vento e trova un'epifania nell'intreccio finale di chitarre e violoncello, un crescendo post-coitale quasi liberatorio.

Il demone, per ora, è stato esorcizzato... ma tornerà, più voglioso e più assetato di prima.

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