The Ataris: un gruppo che almeno ascoltando qualche singolo sparso aveva acceso il mio interesse e portatomi all'ascolto di questo "So Long, Astoria", quinto sigillo discografico della band di Santa Barbara, CA. Peccato che come capita in certi casi i singoli non rispecchino la realtà e andando ad ascoltare l'opus per intero ci si trova dinanzi a qualcosa di diverso dalle aspettative e dalle sensazioni tratte dalla bellissima "In this diary" che a conti fatti non trova quasi alcun seguito nel platter.
Prima di recensire il suddetto dischetto, mi sono procurato pure il precedente per vedere se in realtà questo "So Long Astoria" mi aveva tratto in inganno o meno. A parte il fatto di aver trovato mediocre pure "End Is Forever", credo sarebbe necessario fare due riflessioni sulle differenze stilistiche e compositive che sussistono tra i due album. Se il precedente manteneva ancora un certo "appeal" punk che dir si voglia, la dimensione in cui naviga questo disco è sicuramente il rock. Ebbene si, questo è il disco più calmo più introspettivo e più ragionato della produzione Ataris. La velocità della sezione ritmica viene dimezzata e la voce di Kris Roe è molto più addolcita e tranquilla del passato, in cui aveva una certa carica ed energia. Le chitarre graffiano di meno del passato. Non che il precedente però fosse chissà cosa, in quanto già la melodia anche se in misura minore c'era pure li. Diciamo semplicemente che il suddetto disco è il prevedibile seguito del precedente lavoro. E non è tutto, per registrare l'album sono stati utilizzati pianoforte (presente in diversi brani), sintetizzatori e sezione d'archi.
Ora verrebbe quasi scontata una domanda: cosa ha portato gli Ataris a queste scelte stilistiche e cambiamenti? Naturale evoluzione sonora o scelte decise a priori dalla casa discografica, una major (Columbia) per cui hanno firmato i quattro?
Personalmente quale sia la risposta giusta non è nemmeno fondamentale, sta di fatto che ci troviamo di fronte a un'opera che è davvero noiosa: intendiamoci non che i componimenti siano così sdolcinati e vomitevoli, sta il fatto che mancano l'energia e degli episodi (a parte qualche fortunosa eccezione) che riescano a farci saltare o emozionare.
Le prime due traccia sono già impalpabili e ancorate ad uno schema fisso e prevedibili e statiche, ma andando avanti qualcosa di meglio si trova a partire dalla carina e precedentemente citata "In this diary" che senza ombra di dubbio è la migliore del cd con l'emozionante refrain e "My reply" in cui risiede una certa velocità e degli accenni alle influenze punk anche se si perde un po' nel ritornello. Sicuramente quella che più ricorda gli Ataris del precedente disco.
Emblematica del cambiamento del combo è invece "The saddest song" (in cui sono presenti piano e archi), che ci riporta al discorso fatto all'inizio e che è davvero brutta.
Tra le varie canzoni "rock" (strano che in 13 canzoni non ci sia manco mezzo assolo pero..) l'unica se così vogliamo dire riuscita e sufficiente, che rappresenta i nuovi Ataris è sicuramente "Summer '79". Buona la cover di "Boys of summer" in versione pop-punk, altro pezzo interessante della raccolta. Le uniche altre che meritano di essere citate scorrendo in questa seconda parte sono "Radio 2" con un bel motivo una delle migliori e "Looking back on today".
Da segnalare infine la presenza di due bonus track: la versione acustica del singolo "Saddest song" e una nuova versione di "I won't spend another night alone" che in pratica non aggiungono niente di nuovo.
Che dire, se avete apprezzato "End Is Forever" potrebbe piacervi pure questo lavoro, altrimenti lasciatelo stare. Disco che in generale non riesce a offrire qualcosa di allettante e succoso e si perde un po' tra alti e bassi, dimostrandosi globalmente mediocre.
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