“Abbey Road” è un disco difficile da giudicare con equilibrio. Ecco l’acida recensione di Frank Zappa: “Il più bel disco mai ascoltato per registrazione e produzione. Ma questo complimento non lo posso estendere alle canzoni”. Zappa stava esagerando, ma è vero che diverse canzoni lasciano un po’ a desiderare, soprattutto per i testi.
Senza commenti “Come Together” (che non sarebbe stata così grande senza l’apporto degli altri tre: George alla chitarra, Paul con il suo basso, e Ringo con il suo geniale lavoro ai tom, e con quell’organo che Lennon descriveva con entusiasmo come “paludoso e fumoso” ). Il punto debole è proprio il testo di John.
“Because” è un capolavoro dimenticato (stupendo il clavicembalo elettronico scintillante). Il testo mischia il panteismo con una delle frasi d’amore più semplici e profonde che conosco: “Love is all, love is you”. “Oh! Darling” è senz’altro una splendida performance vocale. Grande “Something”. Bella ma sopravvalutata “Here Comes the Sun” (con un testo che parla di risurrezione personale). Carina e, per me, sottovalutata “Octopus’ Garden” (con un testo simbolico e amaro). Bella e originale “I Want You”.
“You Never Give Your Money” è una piano-ballad capolavoro nel primo minuto. Poi, Paul, nel tentativo di imitare John in “Happiness is a Warm Gun”, ci mette dentro altre due canzoni. Il mix è certamente un capolavoro di originalità, ma, per quel che mi riguarda, è un “pastiche” troppo originale e confuso.
“Golden Slumbers” e “Carry that Weight” sono capolavori abbozzati. Non ci fu tempo di completarli e allora furono messi alla fine del medley. “Carry that Weight” è, in effetti, lo sviluppo del primo minuto di “You Never Give Your Money”. Con un programma particolare, potete attaccare il primo minuto di “You never give your money” a “Carry that weight” e otterrete un’ unica splendida “piano-guitar ballad”.
Grande il testo di “The end” (“Alla fine l’amore che si riceve è uguale all’amore che si dà”). Invece di concludere così la fine di questa avventura chiamata Beatles, McCartney pensò bene di rovinare tutto con “Her Majesty”.
Le canzoni del medley (benché gradevolissime) non mi hanno mai fatto impazzire; sono canzonette prodotte benissimo, ma con dei testi insulsi. Lennon le lasciò a McCartney perché ne facesse quello che voleva. E John si tenne nel cassetto “Jelous Guy” (che aveva scritto in India nel Febbraio 1968), e “Instant Karma!” – a testimonianza di quanto poco fu interessato al progetto “Abbey Road” .
George Martin esaltò questo disco come il più grande del gruppo. Ovviamente è un parere di parte, anche se viene da una persona seria. Martin considerava quasi spazzatura il “Bianco”, e “una vergogna” “Let It Be” (perché i Beatles non gli permisero di produrli come lui voleva) e celebrava oltremisura “Abbey Road” perché, qui, Martin fu protagonista col primo registratore a 16 piste della storia. Anche se il suono è celestiale, il disco va giudicato per le canzoni, e qui lo spessore delle canzoni è – lo so che sono sacrilego – mediamente inferiore anche a “Let It Be” . Il voto è un 4,5, che non riesco ad arrotondare a 5.
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