Paul è morto. La dimostrazione si nasconderebbe nei dettagli.
Se osservate la ormai celeberrima raffigurazione di copertina del disco, capirete che il Sir McCartney è l'unico a differenziarsi dagli altri FAB 4. Ovvero, il solo la cui andatura s'innesta dal piede destro e non dal sinistro ed, in più, calpesta le strisce pedonali a piedi nudi.
Questi sono solo due degli angoscianti indizi che confermerebbero il decesso del baronetto. Come dire, il diavolo si cela nei dettagli. E ci risiamo.
La congetturata perdita di McCartney rappresenta una delle leggende più tenebrose riguardanti l'universo beatlesiano. Per i più cinici un semplice e scaltro gossip per far rizzare i capelli ai malcapitati fans. Ma se di mera mitologia si trattasse, c'è da dirlo, è a dir poco minuziosa. Perché dovete sapere che in ogni disco degli "scarafaggi" (da "Yellow Submarine" in poi), a quanto pare, si occulterebbero numerosi enigmi e suggerimenti al riguardo. Un vero e proprio caso.
Dunque, vediamo.
Paul sarebbe scomparso in un incidente automobilistico e sostituito, poi, da un suo sosia a lui particolarmente affine (per favore!!!). Ma se anche così fosse, il concorrente sostituto non ci fa rimpiangere il McCartney migliore (un'atroce verità in quanto il suo stadio più ispirato è proprio quello del periodo successivo alla presunta scomparsa!).
Questo "Abbey Road", difatti, è dominato dal particolare stato di grazia di Paul, in primis, che si mette alla prova negli autentici pilastri del disco. Il medley finale. Da quattro composizioni incomplete e disconnesse tra loro, quel geniaccio costruisce un mosaico sobrio ma appariscente, essenziale e maestoso. Come se non fosse abbastanza, "You Never Give Me Your Money", piccolo splendore costruito su alcune frasi pianistiche e piazzato nel mezzo della scaletta, di chi è? Esatto, sempre suo, del genio di turno.
Altrove, c'è della sottile gloria per George Harrison che qui firma due dei suoi brani più riusciti di sempre. "Something" è un piccolo affresco di pop dalla scrittura e dall'esecuzione perfetta, mentre "Here Comes The Sun" è un gioiellino elettroacustico nato per diretta influenza di un certo Eric Clapton (a detta dello stesso autore).
Lennon, particolarmente insofferente al progetto, ci mette del suo nel brano che apre il disco. Il carattere esplicitamente erotico di "Come Together" disegna un brillante esempio di canzone destinata ad insinuarsi nella tua testa, grazie ad un acutissimo e circolare riff di basso (chi lo avrà mai eseguito?). Mentre il capolavoro avanguardistico di "Because" sembra sia stato ispirato niente poco di meno che da "Al chiaro di luna" di Beethoven, riproducendolo al contario. D'altronde, nello stato in cui si trovava, a John non fu proprio possibile fargli cantare una canzonetta scalaclassifiche. Tanto meglio.
Il povero Starr ci prova, ma il suo apporto da autore è tutto tranne che indimenticabile. In compenso, le sue performance percussive, qui come in nessun altro disco dei baronetti, rendono alla meraviglia e colano persino di molto impulso creativo.
Nota di merito anche per il mantra di "I Want You (She's So Heavy)", sorta di psichedelico esperimento che dal punto di vista espressivo tormenta quanto un incubo da cui non ci si può svincolare.
Stavo pensando. Ma se il Paul di oggi, l'abbondante viziato dello star system, fosse veramente deceduto più di trent'anni fa?
I conti non tornano.
Situazioni paranormali di cui pure gli stranissimi omini verdi (argh...) provenienti da mondi lontanissimi si sarebbero spossati, consegnandosi per disperazione al mondo terreno.
Che poi, basterebbero un paio di cuffie, poco meno di un'oretta disponibile e il viaggio è compiuto. Con la coscienza che ogni volta potrà condurvi ad esperienze diverse, in milioni di visioni frazionate e capovolte impossibili da descrivere. Tanto è immenso, lugubre e misterioso quando non visionario e lancinante.
Ma non se ne può proprio fare a meno.
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