Cominciamo a scrivere le recensioni su DeBaser partendo da quel gruppo senza il quale non esisterebbe il pop, non esisterebbe il rock, e andando avanti non eisterebbe neppure DeBaser, e io quindi non varei gente da sfottere.
Cominciamo dai beatles. Sono i più chiaccherati, i più saccheggiati, i più odiati, i più amati. Le cover delle loro canzoni non si contano più, sono migliaia, sia quelle in chiave punk e dissacrante sia i tributi, per altro eseguiti dai musicisti più disparati.
Difficile "dare ai Beatles quel che è dei Beatles". Tramutati in un fenomeno di costume, si sono trovati in mezzo a qualcosa di molto più grande di loro che sarebbe accaduto comunque. Non sono certo stati loro a fomentare la ribellione, i capelloni eccetera, ma per molti giovani dell'epoca sono stati una scusa per trasgredire i precetti di mamma e papà e giocare a fare i rivoluzionari... Musicalmente parlando sono l'immenso calderone dove si fondono tutti i generi e le tendenze della loro epoca, talvolta con successo, talvolta un po' goffamente e cadendo, mi spiace dirlo, nel ridicolo: vedi "Helter Skelter", patetica imitazione del sound "hard" degli Who e affini... Fa quasi tenerezza.
Sono il gruppo più sottovalutato e il più sopravvalutato allo stesso tempo: ci sono quelli che "i Beatles non si sono inventati un cazzo" e quelli che "non me li toccate, hanno fatto la storia della musica".
Il fatto è che hanno ragione entrambe le parti: nessun musicista può dire di aver inventato qualcosa di sana pianta, neanche -o tantomeno- Mozart. Sarebbe come dire che Chuck Berry ha avuto un'epifania e inventato il rock'n'roll, Jelly Roll Morton il Jazz e i Maiden il Metal.
C'è semplicemente chi ha influito o innovato di più (Bob Dylan e i Velvet Underground, e i Beatles ovviamente) e chi di meno (Mino Reitano...), ma la musica è influenzarsi a vicenda, emulare e sintetizzare, raggiungendo infine un proprio stile personale, una "maturità artistica".
Con Rubber Soul si è capito che i Beatles non facevano musica solo per rimorchiare le ragazzine. Con Revolver cominciano a fare veramente sul serio. Più del sopravvalutato Sgt. Pepper, Revolver è l'emblema di questo lavoro di sintesi che i Beatles hanno compiuto.
C'è quasi tutto: il blues rock riffettaro ("Taxman"), la musica da camera ("Eleanor Rigby"), la filastrocca per bambini (indovinate...), il pop "sofisticato" (l'ottima, misconosciuta e McCartneyana "For No One"), la psichedelia che sfrutta gli effetti di studio che si andava affermando in quegli anni ("Tomorrow Never Knows": suona moderna ancora oggi, un incrocio tra i Chemical Brothers e l'elettronica minimalista dei Radiohead). Ci sono il sitar e la satira sociale di Harrison; gli scherzetti pop e la canzone dell'amor perduto di McCartney; il sarcasmo e la filosofia orientale del tormentato Lennon. E ovviamente l'immancabile riferimento alle droghe (Got to get you into my life pare sia una sincera dichiarazione d'amore di Macca alla cocaina).
"Forse c'è pure troppa roba... C'è il rischio di fare solo un gran casino", verrebbe da pensare. Non so, fate un po' voi...
Non c'è dubbio comunque che nel '66 Revolver era un disco attuale al limite del pionieristico, il frutto di menti curiose e ricettive che esploravano i locali e i gruppetti emergenti -oltre che le proprie menti-, alla ricerca del nuovo e dell'inesplorato.
Non tutti sanno per esempio che McCartney, ancora prima degli altri Beatles, fu uno dei primissimi estimatori dei Pink Floyd quando ancora nessuno li cagava tranne gli universitari fricchettoni. Insomma, l'atmosfera euforica della swingin' London, una crescita umana e musicale, i cambiamenti frenetici degli anni '60, tutto questo è finito dentro Revolver. E si sente. Azzo, se si sente...
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