Parlare dei Beatles non è mai semplice, perchè si affronta un fenomeno complesso, dalle molte sfaccettature, determinato dall'intersecarsi di infiniti fattori: esperimenti, mescolanza di generi musicali diversi e sperimentazione ardita in un gioco di spinte centrifughe in mille direzioni diverse. E una panoramica degli album da loro pubblicati ce ne da una palese dimostrazione: si passa da classici di irraggiungibile ed eterna bellezza a più semplice e spiccio rock'n roll, con spunti derivanti dal blues, dal folk, dalle avanguardie musicali, dalla musica indiana. Insomma, di tutto un po.
E in certi casi forse i Beatles ci prendono troppo la mano. Esagerano. Troppo eccentrici, troppo altrenativi, troppo ostentatamente particolari. Quel mix di ascendenze di varia natura che rappresenta uno dei tratti più apprezzabili del loro stile si trasforma così in un papocchio senza forma, un accozzaglia di prove e bizzarie, un intruglio musicale pseudo-sperimentale ricoperto da una nauseante patina di psichedelia e di fintissima poeticità. E "Stg. Pepper's Lonely Hearts Club Band" ce lo mostra apertamente.
E' stato definito l'album rock più importante di sempre, una pietra miliare della storia musicale degli ultimi decenni. Sin da subito si è gridato al capolavoro, alla consacrazione definitiva, al culmine assoluto. A mio avviso, l'album ha il merito di anticipare e preannunciare, seppur ancora allo stato magmatico, tendenze e prospettive che saranno poi ampiamente sviluppate negli anni futuri, fornendo una base solida e un punto di riferimento imprescindibile per gran parte della musica recente, ma vale davvero pochissimo considerato come lavoro compiuto, a sè. E' un album slegato e per nulla compatto, pervaso pateticamente da un'esasperata ricerca dell'esotico e dell'inconsueto, farcito di testi senza un senso e senza un perchè. Si susseguono canzoni modeste e per certi versi inascoltabili: "Lovely Rita" con il suo irritantissimo andamento scherzoso e con la sua melodia poco incisiva, "Lucy in the Sky with Diamonds" con il suo ritornello che sfido chiunque a trovarne uno più infantile, superficiale e scontato, "Strawberry Fields Forever" con la sua strumentazione pesante e pomposa. Per non parlare degli altri pezzi, semplici riempitivi privi di qualsiasi spunto interessante. Si salvano soltanto "A day in the life", a tratti davvero stupenda, e "Within you and without you", psichedelia ed esotismo allo stato puro regalataci dal buon George Harrison.
Molti non saranno d'accordo con il mio giudizio, ma forse è meglio iniziare a ridimensionare l'esperienza Beatles, a inquadrarla nel suo reale ed effettivo valore artistico. Non bisogna dimenticare che i Beatles furono una mania collettiva negli anni 60, influenzando profondamente il costume, la moda, l'arte e la cultura del tempo. Conviene quindi chiedersi se il loro ruolo di anticipatori, di profeti, di bacino da cui attingere a piene mani non sia dovuto al loro straordinario successo in ogni ambito più che ad un loro vero merito in campo musicale.
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