C'è quella corrente revival nel nuovo millennio che ha visto protagonisti vari personaggi, tutti improntati su un sound rock'n roll venato di un blues elettrico. C'è chi fa largo ai pregiudizi, snobbando questi talenti o pseudotali prendendoli per i coglioni del momento, la moda del nuovo millennio, gli osannati sulle riviste di moda ma sfottuti sui siti web. Qualche volta è così e avete tutte le ragioni per dare sfogo al vostro virtuosismo dell' offesa. Ma l' ascoltiamo sempre la roba offertaci dagli indierocker o sono il loro foulard al collo che ci parlano e ci inducono al pregiudizio?

Va bene. Se si tratta dell' ultimo Doherty lasciamo stare, se si tratta dei Kooks anche. E' un modo troppo facile di fare musica e di guadagnare il gruzzoletto. Ma nel caso dei Black Keys sarebbe meglio mettere dentro il loro ultimo disco, ascoltarlo e rendersi conto di cosa vi sareste persi se non aveste assaggiato almeno un pezzo di "Attack & Release", ultima fatica delle chiavi nere.

Talentuosi, grintosi ma non troppo, mai pop e con una creatività particolare. I Black Keys, duo proveniente dall' Ohio con furore, con il versatile chitarrismo di Dan Auerbach dal canto espressivo e melodico e Patrick Carney alla batteria, ci danno uno delle migliori prove di quest'anno (fino ad ora) con un disco che impasta l' elettro-blues degli ultimi White Stripes ammorbidendolo con  r'n b (il disco di fatti è prodotto da Danger Mouse, lo conoscete, ricordate la superhit del 2006 "Crazy" degli Gnarls Barkley?) e amalgamandolo con accelerazioni decisamente rock'n roll.

Lo spettacolo comincia con "All you Ever Wanted", un brano acustico dal canto quasi sferzante, condito da un organetto vagamente esotico sul finire, per poi lasciare a spazio alla granitica "I Got Mine", un brano revival che contempla i miti hard rock di un tempo. Carney preme sull'acceleratore e ci butta dentro alla prepotente "Strange Times". Un pezzo da garage, deciso, sfociante in un ritornello melodico, con un coro ironico e un piano impertinente. "Psychotic Girl" è quasi dub, con questo drum pesante aleggerito dalla bellissima voce di Auerbach e persiste ovunque quel piano, così sgarbato e insolente. Uno dei brani migliori del disco, in quanto si vede tutta la vena creativa di un gruppo che non trova difficoltà a comporre. E' questo il talento dei Black Keys. Al duo non serve l'aiuto di nessuno perchè di idee ne hanno tante. "Lies" è un blues profondo e sentitissimo: ancora bellissima la parte vocale di Auerbach. Il meglio del revival. Dopo "Remember When (side B)", che si rifa alle strisce bianche di Detroit, arriva un altro lampo di genio. "So he won't break" è una normale ballad vagamente rythm and blues, ma gli accordi un po' surf-rock un po' spaghetti western di Auerbach gli conferiscono un' originalità particolare, quella creatività che ho citato nell' introduzione. La struggente "Things Ain't Like What they used to Be" è il pezzo di chiusura; una ballata da accendini e mani al cielo, ma "eccentricizzata" dalla solare chitarra del mai troppo lodato Auerbach.

Un insalata mista di generi "vecchi ma nuovi" o "nuovi ma vecchi": un revival perfetto per chi sente la nostalgia dei tempi andati ma anche per chi cerca buona musica che non sia facilotta o scontata. Compratelo e non fatevi preconcetti sciocchi e banali: il rock 'n roll ancora esiste, e questi non portano i foulard.

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