Tornare sulla scena dopo due anni in cui il debutto di un gruppo ha raggiunto un notevole successo non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti, con un album decoroso, non è facile per nessuno. La tensione è a mille, la stampa e il pubblico sono pronti a mandarti all’inferno oppure nell’olimpo della musica di quel decennio. Invece i Darkness sono pronti a prendere entrambe le strade contemporaneamente con un album che s’intitola “One Way Ticket To Hell… And Back” migliorando il loro suono aggiungendo archi e togliendo qualche chitarra di troppo, che li aveva caratterizzati nel primo album, e confezionando 10 tracce buone. Anche il reparto della produzione è migliorato. Infatti è stato ingaggiato Roy Thomas Baker, leggendario produttore dei Queen. Inoltre c’è da segnalare un cambiamento nella line-up: infatti il bassista Frankie Poullain, licenziato dalla band e sostituito da Richard Edwards. Ma veniamo alla musica.

Il cd si apre con “One Way Ticket”, anticipata da un’introduzione di circa un minuto, in cui il gruppo sembra voler dire che si sta affrontando qualche cosa di maestoso. Invece la canzone è ciò che di più commerciale non si potesse ascoltare questo gruppo. Una traccia che non sfigurerebbe se fosse stata inserita nel lavoro precedente. Anche “Knockers” non è il massimo, ma qualche cosa di diverso si nota. Con “Is It Just Me?” invece la band sperimenta rock anni ottanta in stile Van Halen, con un risultato discreto. Anche “Dinner Lady Arms” mantiene l’orecchiabilità delle tracce precedenti, che non saranno dei capolavori, ma che si lasciano ascoltare volentieri. “Seemed Like A Good Idea At The Time” è il primo lento del gruppo, in cui si notano le vere grandi differenze del suono: l’inserimento degli archi. Ma l’evoluzione non si ferma qui. Già all’inizio di “Hazel Eyes” si nota il lavoro di Roy Thomas Baker. Il chitarrista sembra Brian May, anche se Dan Hawkins non è certo al suo livello ma, a parte questo tratto, il pezzo è il peggiore dell’ album. “Bald” è il pezzo rock che ti trascina per tutta la sua durata, con un’ esplosione di suoni nel ritornello, in cui si notano i cori, migliorati notevolmente rispetto al debutto. “Girlfriend” è invece una canzone in puro stile Darkness, non impegnata e ironica come piace fare a loro. “English Country Garden” è una sorta d’ opera rock, neanche riuscita male. Il ritmo è incalzante e i cori non sono fatti assolutamente male, con il solo di chitarra e il falsetto di Justin Hawkins. La traccia di chiusura “Blind Man” è aperta da piano e seguita da archi, un ritornello con dei cori magnifici e la voce del cantante che interpreta al meglio il pezzo. Questo chiude è la migliore canzone dell’ album e lo chiude lasciandolo sospeso nell’aria, quasi ad indicare che vogliono comporre un terzo album da applausi.

Il produttore ha sicuramente influito sul miglioramento tecnico del gruppo: grandissimi cori, chitarre più dosate e introduzione d’archi, tutte caratteristiche che hanno reso famosi i Queen nel mondo. Se questo deve essere un album di transizione tra il primo ed il terzo, aspettiamoci un vero capolavoro da questo gruppo in futuro.

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