Fa sempre una certa impressione leggere 2000 come anno di uscita su un disco. Sarà per quei tre 0 di fila, sarà che ti torna in mente il cambio di millennio, quel periodo euforico pieno di aspettative (tutte più o meno disilluse), non lo so. Fatto sta che in quegli anni di dischi mitici ne sono usciti a bizzeffe e oramai che una decade è trascorsa possiamo riconoscerlo. Potrei citarne a pacchi, metal e non. Fatto sta che anche i Gathering in quel 2000 avevano deciso di cambiare, e pure in maniera radicale.

Se già col precedente, quasi ineguagliabile How to measure a planet avevano dato una sferzata proggheggiante al gothic metal di Mandylion e Nighttime birds, con If_then_else i cinque olandesi hanno continuato a spingersi ancora oltre su sentieri musicali inesplorati: ci troverete il recente passato e l'immediato futuro del gruppo, che con questa uscita si libera in modo definitivo delle sue catene metalliche e produce una musica tutta nuova, una musica fatta di emozioni oltre che di suoni, una musica originale e del tutto impossibile da classificare, tanto che saranno gli stessi olandesi a darle il nome che tutti noi conosciamo fin troppo bene: trip-rock. Ora chi tra voi ha la mente aperta ed è onnivoro d'ascolti penserà sicuramente ad un movimento che in quegli anni spadroneggiava, un movimento germogliato a Bristol all'inizio dei Novanta e definito trip-hop. E va da se che la mente correrà a gruppi oramai leggendari come Portishead e Massive attack, tuttavia la musica degli olandesi è di tutt'altro tipo. Ad accomunare i Gathering ai nomi che ho appena accennato è tutt'al più un etereo cantato femminile (cosa che però i ragazzi non si sono mai fatti mancare) e certi suoni dilatati di tastiera (e molti altri strumenti affini). Ma l'ascoltatore non troverà in If_then_else né strofe rappate, né la batteria ripetitiva tipica dell'hip-hop; troverà invece più chitarra, molta musica suonata a mano e non basi programmate, seppure l'uso di sintetizzatori e loops non venga disdegnato. Si tratta pur sempre di rock, anche se da sentirsi non tanto quando si vuole liberare la propria energia interiore, ma magari in attimi più riflessivi, magari una musica da ascoltarsi preferibilmente in trip, e forse questo è l'unico vero senso racchiuso nella curiosa definizione inventata dai fratelli Rutten e compagni. Subito, alla prima occhiata, riflesso ineludibile del cambio sonoro, si nota un marcato cambio d'artwork. Non più la fredda e solforosa grafica, spaziale, filosovietica del predecessore, ma immagini sfocate, immagini urbane, scattate di notte all'ingresso di una metropolitana. Luci di lampioni che inquadrano i vari componenti della band, o comunque luci di uno studio di registrazione che si posano su oggetti vari; dai miei ricordi ora come ora emerge un vibrafono, oggetto scelto tutt'altro che a caso, forse come emblema della enorme varietà di strumenti utilizzata per produrre questo straordinario disco.

L'attacco è pura emozione: su un suono fosco e sintetico si leva solitaria la voce di Anneke, un brivido che avvolge tutti i sensi e accarezza gelido la schiena: outrun the fight/ i used to hide/ in quite places, e poi irrompe il resto della band a dar forma a Rollercoaster, che pare una continuazione del disco precedente nel suo incedere lento ma maestoso, dolce e roccioso ad un tempo. La successiva Shot to pieces viaggia sulle stesse onde sonore ma a velocità molto più sostenuta, un brano in continuo divenire che si insinua subito nelle orecchie di chi ascolta e slega movimenti di testa incontrollati. Cambio d'atmosfera repentino ed inatteso, ecco Amity, primo vero capolavoro ed ormai un classico nel repertorio del gruppo. È la canzone che più si avvicina alle traiettorie disegnate dal trip hop cui si era accennato prima: basi ripetitive e sintetiche, strumenti particolari, atmosfera dilatata ed inquieta, voce ammaliante, testo psicologico che corona meravigliosamente il tutto. Sei minuti di storia, magnifico ed indimenticabile. Sempre su ritmi lenti, tuttavia guidati da un semplice e rassicurante accordo di chitarra, si snoda la gemma successiva, Bad movie scene, che cresce pian piano ed esplode nel finale. Segue The Colorado incident, che ripesca le sonorità  dei brani d'apertura ma che fa molta fatica a lasciarsi ricordare, così come la successiva Beautiful war. In questo caso tuttavia trattasi di intervallo strumentale da due minuti che, essendo posto nel mezzo del cammin, finisce per diventare un vero e proprio spartiacque nel disco, dividendo nettamente la prima parte dalla seconda. E a questo punto viene da pensare che la musica in questione sia molto più adatta ad accogliere le liriche sempre più introspettive e intimiste di Anneke Van Giersbergen. Personalmente una canzone che amo alla follia come Eleanor mi aveva sempre fatto uno strano effetto col suo unire una base ai limiti del death ad un testo che parla di una litigata tra amiche; la qual cosa fa pure supporre che il cambio di sonorità sia dovuto in buona parte all'ingresso della tulipana, ma pure che che alla fin fine non sia un brutto cambio, perché fornisce la musica dei nostri di ulteriore profondità e spessore.

Venendo ora alla "seconda parte", che prende forma sulle atmosfere autunnali di Analogue park, ci troviamo di fronte ad un'atmosfera molto più tranquilla ed omogenea, ma anche molto più ricca di sfumature, molto più suggestiva. Qui le tastiere prendono il definitivo sopravvento sulle chitarre e cominciano a disegnare sensazioni pure: immagini di pioggia e sera, luci di lampioni e scenari urbani, proprio come accennato nell'artwork. Sensazioni confermate appieno da Herbal movement, introdotta da un recitato tratto da Alice nel paese delle meraviglie (il segmento in cui compare il Brucaliffo, e scusate se io ci vedo un messaggio subliminale piuttosto chiaro). Herbal movement è una canzone in cui, come recita il ritornello, everything is lazy, da quanto ogni suono è prolungato e sospeso, ma è soprattutto l'ennesima canzone di una bellezza abbacinante, l'ennesima canzone che toglie il fiato. Forse la mia preferita. E passando di meraviglia in meraviglia arriva l'altro grande classico del disco, Saturnine, fragile ballata d'archi su cui ogni parola è inutile, anche perché immagino che ognuno di voi che state leggendo l'abbia già sentita un bel po' di volte. Si fa poi avanti Morphia's waltz, brano che racchiude la sua essenza nel titolo, brano cadenzato e sognante, ninna nanna con cui la band si appresta a lasciarci. Relegato quasi in funzione di bonus track, dato che è separato da un minuto di puro silenzio, c'è ancora spazio per Pathfinder. Anche quest'ultimo capitolo è davvero suggestivo e stralunato, un'altra composizione strumentale decisamente difficile da descrivere.
E silenzio.

If_then_else è dunque anello di congiunzione di un magico trio di dischi che si inserisce alla perfezione tra la fascinosa freddezza di How to measure a planet e la tiepida umidità di Souvenires. Tre uscite che da sole valgono la discografia di un di moltissime altre band, tre dischi che mi piacciono uno più dell'altro. Certo, a If_then_else si potrà affibbiare l'etichetta di disco transitorio ed indeciso tra mantenersi ancorato al passato o lasciarsi liberamente andare a qualcosa di nuovo. In realtà questo disco a parer mio trova nella sua grande varietà stilistica uno dei suoi punti forza. L'altro punto di forza sta invece nel coraggio di cinque persone che non hanno avuto timore di deludere i fan pur di seguire la propria esigenza espressiva.

Sono poche le band che aprono il loro cuore per servircelo su un piattino da dodici centimetri di diametro


1. "Rollercoaster" - 4:45
2. "Shot to Pieces" - 4:10
3. "Amity" - 5:57
4. "Bad Movie Scene" - 3:49
5. "Colorado Incident" - 4:53
6. "Beautiful War" - 2:32
7. "Analog Park" - 6:05
8. "Herbal Movement" - 4:10
9. "Saturnine" - 5:11
10. "Morphia's Waltz" - 6:37
11. "Pathfinder" - 4:38
 

9.5

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