Alla classica domanda giornalistica: "cos'è per te la musica?" le risposte sono spesso simili e inflazionate; in rari casi, invece, originali e comunque rappresentanti di una concezione veritiera.

Che si tratti di frasi fatte oppure studiate a tavolino per risultare una persona più interessante e innovativa, analizzando le varie opinioni non possiamo che riscontrare come trait d'union tra di esse il concetto di "emozione". Diverse sono le accezioni attraverso cui esso viene esplicato, ma volendo riassumerle direi che possono essere identificate nelle seguenti frasi: "Musica come contenitore di emozioni, musica come emozione, musica come liberatrice di emozioni." L'esperienza personale di ognuno fa propendere per uno o l'altra visione di questo rapporto, ma resta comunque innegabile che questi è accettato da tutti come esistente.

Questa premessa filosofica per parlarvi dei The Gathering più che dell'album in questione. Questo gruppo ha mutato le proprie coordinate stilistiche in maniera marcata sin dai suoi esordi creando album sempre diversi in maniera a volte piuttosto spiazzante per fans ed ascoltatori. Ad esempio passare dall'ascolto di "Nighttime Birds" a quello di "How to measure a Planet?" e gradire entrambi i lavori significa sicuramente avere una mentalità musicale aperta, perché anche se si tratta di pochi anni di distanza tra il concepimento di questi due dischi la stessa misurazione temporale non sembra possibile per contenere al suo interno una così drastica variazione musicale.

Dagli stilemi del metal death e gotico in poco tempo i fratelli Rutten e soci si sono trovati a comporre materiale influenzato da Radiohead, Portishead e Massive Attack senza perdere il proprio tocco distintivo che li aveva sin dagli esordi fatti risaltare agli occhi della critica come una realtà più che interessante. Molte sono state le accuse di "commercializzazione" per l'alleggerimento del sound, ma spero che a tutti sia chiaro che un disco non è "commerciale" solo perché non ci sono chitarroni distorti, e che anzi, di dischi pesanti ma "commerciali" ce ne sono in quantità imbarazzante!

Se questa considerazione non bastasse come risposta si potrebbe aggiungere che dopo la realizzazione del doppio "How to..." per poter proseguire il nuovo percorso musicale, fatto di sperimentazione su tappeti melodici e mai banali, il gruppo ha dovuto lasciare la casa discografica che avrebbe preferito una continuazione del cammino goticheggiante molto più redditizio vista la popolarità di gruppi come Nightwish e Evanescence, loro si con chitarroni distorti, ma decisamente più commerciali nei presunti intenti artistici rispetto ai nostri.

Ed è qui che si colloca "If_Then_Else" ultimo album prima dello split con la casa discografica e della realizzazione di una propria etichetta, la Psychonaut records. Nel disco è facile notare un tentativo in fase di produzione di appesantire il sound dopo la rilassatezza del precedente lavoro, ma nessuna distorsione riesce a modificare la sensazione onirica che le note tentano di regalarci, seppur nella loro iniziale irrequietezza. Neppure lo spiccare degli strumenti accentuato in fase di mixaggio nei tratti più rilassati ("Amity" ad esempio) riesce ad annullare l'amalgama sonoro adagiato come una calda sciarpa di seta attorno all'ugola della vocalist Anneke van Giersbergen.

Questi interventi della casa discografica mirati all'evitare di perdere un certo trade mark e una potenziale macchina da soldi, sono più che comprensibili se si considera un disco come un mero oggetto in vendita, ma, in questo caso, chi l'ha composto non la pensa allo stesso modo e quindi, di restare a guardare nel momento della concretizzazione delle proprie note, nel mixaggio e nella masterizzazione mentre tutto viene rimaneggiato da altri, a questi ragazzi non dev'essere piaciuto. Fortunatamente aggiungerei io. Da questo bisogno di libertà nasce la rottura con la Century Media e il dispiegarsi di una rinnovata libertà espressiva che da allora ci ha regalato tre perle quali "Souvenirs", "Black Light District (EP)" e "Home".

Lo so, fino a qui non ho parlato propriamente del disco, ma credo non siano necessarie ne l'analisi delle tracce ne commenti vari in questo caso, anzi è molto più importante capire, a mio avviso, quanto la situazione vissuta durante le registrazioni abbia contato nelle scelte che i The Gathering hanno poi compiuto dopo quest'album. Quindi, oltre alle informazioni sulla realizzazione che ho menzionato più volte, per darvi il sentore di un ascolto fugace posso dirvi che questa musica riesce ad avvolgere come un abbraccio di una persona amata e con il suo dolce tepore riesce a cullare ogni piccolo dolore della mente.

Si tratta di sensazioni rilassate, ma studiata nei particolari per non risultare prolisse e ridondante. Musica da viaggio onirico, ma composta con la testa sugli spartiti. Un esperienza mistica più che un ascolto, ma misticismo come tensione verso il divino insito nella natura. Insomma, qui si respira la realtà dei sogni e si capisce il perché della mia premessa; non so qual è la vostra opinione sul collegamento tra musica ed emozione, ma, credetemi, quest'ultima ascoltando i The Gathering la proverete sicuramente.

Aggiungo, con poche parole, che se potessi effettuare una quantificazione direi che l'85% del merito di questo turbinio emozionale e di quest'evoluzione musicale così marcata va alla cantante Anneke van Giersbergen e a quel miracolo della sua voce (ho volutamente deciso di farne solo un accenno alla fine, altrimenti il solo nominarla più spesso avrebbe scatenato in me il desiderio di idolatrare questa donna, cosa che peraltro sto rischiando di fare adesso!).

Per concludere direi che questo è un album consigliato agli ascoltatori della musica più melodica, del post-rock e del trip-hop ed a chi ha voglia di sentire la propria testa cullata amorevolmente.

Se possibile però meglio ascoltarlo dopo essere divenuti schiavi di quel capolavoro del successore "Souvenirs", che della produzione dei The Gathering stessi fa il suo valore aggiunto.

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