Degno successore del (giustamente) osannato "Mandylion", questo "Nighttime Birds" ne svolge e amplia le strutture, aggiungendo alla cupezza a tratti doom del primo linee melodiche molto più ariose ed eteree fortemente debitrici della psichedelia anni Settanta (già percepite comunque precedentemente, soprattutto in alcuni pezzi). Il disco non raggiunge lo spessore di "Mandylion", il quale a suo tempo colpì soprattutto per la sorpresa e la ventata d'aria fresca che portò, ma si piazza sicuramente pochissimo al di sotto di esso, facendosi apprezzare piano piano e trascinando con sé, ad ogni ascolto, leggere spruzzate di neve (rievocata dalla magistrale copertina) e una generale atmosfera onirica e gelida, riscaldata solo dal calore della splendida voce di Anneke, si possibile ancora più matura, potente e cristallina.

Il senso di equilibratezza, armonia, perfezione nell'esecuzione e sapiente dosaggio di diversi elementi melodici fanno di questo lavoro una piccola gemma, che sembra fatta apposta per essere ascoltata in quelle pause di riflessione o in quei momenti in cui si ha bisogno, per un attimo, di quella tenue tristezza, necessario elemento di stasi eppure anche di transizione nei nostri stati d'animo.
Difficile elencare i brani più belli e significativi. L'apertura "On Most Surfaces" è folgorante, un amore al primo ascolto. Parte subito sparata, leggermente orientaleggiante, si evolve subito in un breve ma persistente nella memoria arpeggio eppoi continua con meravigliosi muri elettrici di stampo tra il doom e il gothic. Anneke accoglie l'ascoltatore con i suoi meravigliosi gorgheggi, una mano pura e angelica che sembra trascinarti fuori da un magma infuocato nel quale sprofondi. Poetico ed evocativo il ritornello, così come il break, al massimo dell'intensità della canzone.
"Confusion" appare molto più riflessiva e impostata su toni più bassi e malinconici, merito anche e soprattutto di un basso presente e estremamente costruttivo, che intesse corpose trame ritmiche sulle quali si arrampica un malinconico giro di chitarra e un cantato ora più sofferente e dimesso. La seconda parte della canzone ne accresce il ritmo, con le sei corde ora più ariose e oniriche, proiettate in uno slancio verso il nulla che poi ricade inevitabilmente nel meraviglioso torpore di tutta la traccia.

"The May Song" conquista sin da subito per le sue tastiere settantiane e per la sua atmosfera già più lontana dal doom e vicina semmai e un fine ed elegante gothic (anche se risulta un po' forzato incanalare questa canzone in un qualche genere). Degna di nota è di nuovo la cantante, qui impegnata in un saliscendi di tonalità impressionante, nel quale mette in risalto l'elasticità e la plasticità delle sue corde vocali. A mio parere la miglior cantante metal di sempre.
Molto cupa e sognante è "The Earth Is My Witness", una traccia dotata di un pathos assolutamente tenebroso e dall'incedere devastante, molto debitrice delle sonorità lente e spaccaossa sentite in "Mandylion", con un chorus veramente impressionante, arricchito da tastiere assolutamente sublimi.
Stacca da tutto il resto "Third Chance". Il pezzo è una lanciata cavalcata dai ritmi frenetici vagamente gothic, che punta molto sull'alto livello di coinvolgimento suscitato dal chorus. Una traccia di rottura verrebbe da pensare, basata su una struttura stranamente "vivace", di certo non tipica per i Gathering sentiti finora, eppure accattivante quanto basta.

"Kevin's Telescope" è la traccia che più rimanda al precedente lavoro per quanto riguarda la parte melodica e onirica. Un soffice e delicato tappeto tastieristico ci accompagna per tutta la canzone, un cielo notturno nuvoloso con qualche sprazzo di sereno dal quale si intravedono le stele, ma solcato comunque, di tanto in tanto, da lampi, scariche elettriche, messaggere visive di un temporale in lontananza che si fa sempre più vicino, e del quale avvertiamo tangibilmente la tensione che si accumula nell'aria.
La title track è in assoluto il pezzo più carico d'atmosfera, dolcemente malinconico, invernale e glaciale presente sul disco. La voce di Anneke sembra venire da lontano, ci racconta di storie ancestrali ambientate in fredde nottate nordiche, dove il placido mare rompe, pazientemente, il ghiaccio che l'inverno va via via formando, e una leggera brezza fa muovere i rami congelati degli alberi, dai quali si alzano in branco stormi di uccelli scuri, che compiono volteggi nel cielo stellato facendosi trasportare dal vento. L'atmosfera è quasi irreale, statica e metafisica, pregna di una calma incredibile eppure venata da una sottilissima e acuta malinconia.
Il viaggio può dirsi concluso con l'intensa ballata piano-voce "Shrink". Una struttura questa che in molti hanno cercato di riproporre in campo metal, arrivando spesse volte soltanto a copiare una molecola soltanto dell'universo emozionale che si riesce a vivere in questa traccia, attraverso la potente e evocativa voce della cantante.

Con questo disco il gruppo sembra aprirsi verso nuove strade, lontane dal doom - gothic iniziale ma non per questo meno evocative. Vero è che con una cantante di tale caratura  possono produrre veramente di tutto, ma la sperimentazione non è cieca (o esclusivamente mainstream), segue un filone malinconico e psichedelico che da qui in avanti sarà il marchio di fabbrica della band, escludendola da ogni genere e catalogandola nell'olimpo di quelle band "praticamente perfette".

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