E Ray, ovvero il più saggio di tutti, e, chissà, forse persino quello con più talento, disse: “Ma solo io penso che son tutti pazzi?”

Ma cos'era successo? Cosa? Oh niente, solo che il pop inglese si era trasformato in un giardino d'infanzia e in un campionario di bizzarrie ed eccentricità presentato da venditori porta a porta vestiti all'ultima moda.

Alcuni poi, a cominciare da quelli più famosi, avevano dato evidenti segni di squilibrio. A Syd si eran spenti gli occhi...e John, John l'avevano fermato giusto in tempo prima che diramasse un folle comunicato stampa.

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E Ray?'

Fu un suo sodale a parlare per lui: “Niente può battere l'andare al cinema, un paio di pinte e una cicca. Noi siamo tutti d'accordo sul fatto che il pranzo della domenica sia la più grande realizzazione del paradiso.”

E comunque Ray era fresco reduce da un collasso nervoso.

“Mi svegliai e chiesi: quand'è che partiamo per il Belgio?”

“Va tutto bene Ray, hai solo avuto una crisi, ti rimetterai presto”

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Qualche anno dopo Ray scrisse le canzoni del villaggio verde, una luminosa/polverosa raccolta di figurine incastonata in una rassicurante e provinciale Shangri-La interiore .

Di nuovo il pranzo della domenica, quindi. Ma anche, in ordine sparso: “la marmellata di fragole, i piccoli negozi, le tazze di porcellana, il varietà, la Signora Mopp, la chiesa, il campanile, l'album di foto di famiglia."

Il contrario della psichedelia, verrebbe da dire e, insieme, il non plus ultra della medesima. Quelle canzoni, infatti, altro non erano che un rifugio in un mondo sospeso e fuori dal tempo esistente solo nella mente del suo autore.

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Psichedelia, suo malgrado. O, addirittura, a sua insaputa.

O forse solo il vecchio rifugio nelle care cose di pessimo gusto. Che quasi quasi vien da chiedersi che ne avrebbe pensato il buon Gozzano.

Gozzano? Si proprio Gozzano...e magari ci mettiamo pure l'organetto di Barberia.

E comunque non la psichedelia dei voli cosmici, ma quella tutta inglese che sa di vecchi solai, marcette e quant'altro.

E mica solo le parole...

Che basta fare anche solo un piccolo un/due/tre tra i brani del disco per capire che quei suoni un po' buffi devono essere per forza transitati attraverso un'astruso marchingegno impolverato, una cosa tipo una Victorian music box che poi è il corrispettivo (very very english) del nostro organetto.

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Se poi volete sapere che diavolo ci ha messo il buon Ray in quella favolosa scatola magica, beh, diciamo che l'elenco è lungo e lo trovate in qualsiasi recensione di questo disco.

Di mio vi dirò soltanto che ci ha messo tutto quel che serve per scrivere canzoni meravigliosamente ondeggianti tra brio, leggerezza e depressione.

Depressione? Oh si, si depressione.

Che non solo gli altri, caro Ray, anche tu non eri tutto a casa.

D'altronde nemmeno io mi sento tutto a casa e, immagino, nemmeno voi che state leggendo.

Come? Voi invece a casa ci siete? Davvero?

Davvero?

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E comunque su questo disco han detto tutto sia Ray, che Dave...

“Per Ray il progetto era pervaso da un intento terapeutico” Dave Davies

“Mi ritirai nel mio piccolo, semplice mondo di negozietti e film inglesi in bianco e nero; forse era la mia forma di psichedelia” Ray Davies

Più chiaro di così...

Aloha....

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