Se siete tra quelli che credono che “The Velvet Underground & Nico” sia uno degli album più belli della storia della musica, preparatevi a leggere una recensione che non vi piacerà ma, che spero vi dia qualche spunto di riflessione. Se siete tra quelli che non lo amano, vi dico solo che non siete i soli.
Incuriosita da tutte le stelle (intendo quelle delle recensioni sia “professionali” che non) che circondano questo album, mi sono decisa ad ascoltarlo su You Tube. Non avevo né intenzione di scaricarlo (nutro ancora in parte rispetto per l’industria discografica) né tantomeno di comprarlo: sarebbe come comprare un vestito senza provarlo.
I primi secondi dell’ascolto mi hanno sorpresa con un sorriso sulle labbra riconoscendo la prima canzone “Sunday Morning” e innalzando in un certo senso le mie aspettative. Ho pensato: mica male come inizio. È in effetti una canzone molto godibile che dona una sensazione di dolce dondolio.
Ma proseguendo con l’ascolto sono solo due le traccie che non mi lasciano proprio indifferente: “Femme Fatale” e “Venus in Furs”. Della prima mi convince la melodia e, sebbene la voce di “Nico” mi suona come “impostata” (forse è proprio il suo modo di cantare) anche bene interpretata. Nella seconda invece, vi è qualcosa di ipnotico. Tutto il resto non vale la pena. Anzi vi dirò di più: risulta essere in certi punti anche fastidioso per le orecchie.
Il primo ascolto dell’album mi ha annoiato. Il secondo ascolto mi ha dato invece, non solo la conferma di quanto ho scritto sopra, ma anche che se i critici innalzano questo album a fondamentale per la musica rock (e una parte del pubblico – quella auto sedicente colta – va loro dietro) lo fanno perché hanno smesso da tempo di ascoltare la musica per il piacere di farlo.
Perché è proprio questo il nocciolo della questione. Scrivere che questo è l’album migliore perché contiene i germi del punk, del noise e di chi più ne ha più ne metta, significa, a mio avviso, levare alla musica il suo ruolo primordiale: la capacità di essere un veicolo di bellezza e verità.
Inoltre in questo album, sento tutta la patina del tempo. Se fosse davvero bello come tutti dicono, dovrebbe sconfiggere le leggi del tempo e risultare alle orecchie come senza età.
E ancora, se il motivo per il quale è ritenuto fondamentale è che ha precorso il punk rock, il noise vi chiedo: che contributo hanno dato questi generi musicali alla musica in genere (considerando quindi anche la musica classica)? Acquisire ruvidezza e asprezza (se non proprio bruttezza) a discapito della soavità e dell’armonia? Se poi lo volete definire il migliore del rock ‘n’ roll sono sicura ci sia di meglio.
Quello che voglio dirvi è di ascoltare. Ascoltare con le orecchie e con il cuore. Non fatevi impressionare da ciò che dicono i critici. Da qualche parte ho letto che quei cento che avevano comprato questo album erano diventati critici. (fonte: “Brian Eno”?) Vorrei sapere come si fanno a dire certe cazzate. Le storie sono due, o “Brian Eno” ha parlato con le cento persone che hanno comprato questo album, oppure 100 critici fanno i fighi sostenendo di capire prima e meglio degli altri la musica.
Non fatevi plagiare. L’arte non è per pochi. La vera arte è immediata, basta avvicinarcisi da subito, da piccoli. La musica deve essere bella, deve scuoterti le viscere e farti venire i brividi di piacere. Mi dite cosa c’è di bello in una chitarra distorta e in un pianoforte stuprato?
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