Sono seduto con il mio vestito dentellare sotto la fioca luce iconoclasta di un lampione andato a male, ma mica m'interessa poi tanto, perché l'uomo è perennemente combattuto fra l'andare ed il restare, e in mezzo c'è il "fare" che a volte è sinonimo di "dolore", ma è la vita, mamma, soltanto la vita; è intorno a me ci sono poche persone che hanno imparato a dire di sì alla vita.

Una specie di cieco furore pervade le polverose gote della notte, stasera, e le tue labbra non sono poi così familiari, ormai: il marmo ti ha conquistato, e ora il più buio degli angoli mi aspetta in silenzio, il "me" tremolante ed io completamente inanellato alla sconquassante perdita della speranza, ma nemmeno questo importa, perché il mondo ha cancellato tutto, la fine è andata perduta e il progresso ha spodestato la semplicità del Pensiero, soltanto le opinioni contano, ed ormai è nero ardore il mondo.

Deragliano i treni dell'irrazionalità e nel mare superficiale ch'è ormai il genere umano si hanno i naufragi della consapevolezza: siamo o no l'evoluzione per antonomasia?

Questo è il campo base sul quale opera l'Arte: l'arte di chi non vuole portarne il nome come bandiera di vanità e pregio, l'arte di chi non sa e nemmeno s'interessa, l'arte di una New York, oppure una Berlino degli '80, il Carro di Giove che è l'intuizione, che sgretola la skyline più famosa del mondo, trascina nel vortice più profondo e denso di melma ogni storia, ogni siringa, ogni attimo, ogni battito del cuore, tutto, e non si ferma, continua, s'impossessa degli occhi, quel vano girare dei solchi ti fa ascoltare con le orecchie, otturare dalla spensieratezza dell'estate dell'amore, ma è qui che s'impara a vivere, cullati dalla nenia immacolata che si materializza dolcemente dalle torbide acque mattutine, le torbide acque di un giorno che ormai è passato e sembra non averti lasciato niente: è qui che finalmente puoi innaffiare con i tuoi luridi sospiri i fiori del male, ed il castello che ti lasci dietro è un gusto al gelato assemblato male - vuoi ricominciare da capo, e la distruzione porta al battesimo finale, che questa tela non ti offre, e sei costretto a vagare per anni fino al dolce niente, la caramella amara che ti conosce e ti visita spesso.

Ma tu non vuoi, non vuoi, e allora sparisci, alienato, e sono le sette e mezza di mattina ma sei ancora steso a pochi passi dal tuo letto, solo perché la forza ti mancava e hai dovuto chiudere gli occhi, ma tu non lo volevi, e allora hai nuovamente aperto le imposte che Dio ti ha imposto: e ti faceva un po' paura.

Ti aggrappi annaspando all'inferriata, perché tutto è fatto di metallo, e sospetti che dopo le vere esperienze, nessuno degli uomini può ancora illudersi e sorridere sincero.

Il progresso ha reso tutto in bianco e nero, e i colori sono timide bugie, che continuano a funzionare. Perché distruggere tutto?

Perché è necessario. Perché lei non mi ama. Perché non ci rivedremo. Perché io non l'amo, e se l'amassi, non si tratterebbe d'amore spirituale, ma di lacca, di pelle, qualcosa di plastico, che all'inizio mi avrebbe spaventato: mi hai fatto correre via, e odiavi i miei testi... mucchio d'ossa rivelato, la spocchia che ti ha fagocitato è ormai rimembranza plumbea.

Sono canzoni che creano un mondo e te lo distruggono sotto gli occhi, non è musica, non sono note, Lou Reed non esiste, John Cale nemmeno, Nico è l'incarnazione del contrasto spettrale e caramellato che ammanta di luce tutti i secoli di tutti gli uomini: il bello, ed il brutto, ma sono definizioni, che tolgono l'immensità cosmica alla materia trattata. E Warhol è mero spettatore, conscio di aver portato un gruppo alla realizzazione di un buco nero, che inghiotte, e inghiotte, e inghiottirà, fino a quando il mare si richiuderà sopra di noi.

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