Nell'ambito della celeberrima Swinging London di metà Sessanta emerge in particolare il nome della celeberrima band dei The Who, capitanata dall'abilissimo chitarrista/compositore/songwriter Pete Townshend, la quale, dopo alcune buone prove iniziali ma dallo scarso esito commerciale nel complesso, fa centro nel 1969 con "Tommy", primo ed autentico esempio di concept-album del mondo del Rock (di cui esiste un'ottima versione filmica a firma Ken Russell del 1975) che contribuisce a rendere la fama della band diffusa praticamente in tutto il mondo.

Tuttavia, non paga del successo ottenuto, la band decide, come si suol dire, di battere il ferro finché è caldo e nel giorno di San Valentino di circa 50 anni sforna un album live dal valore secolare, destinato a divenire ben presto un autentico punto di riferimento per le prossime band Hard Rock a venire: stiamo, ovviamente, parlando di Live At Leeds.

Registrato presso la prestigiosa Università di Leeds, l'album si presenta in copertina come una sorta di bootleg (così come andava piuttosto in voga al tempo, vedasi bootleg illegali trafugati da band del calibro dei Led Zeppelin, ad esempio) e la scaletta all'origine conteneva soltanto 5 pezzi: la cover di Mose Allison "Young Man Blues", "Substitute", la cover di Eddie Cochrane "Summertime Blues", "Shakin' All Over" di Johnny Kidd e la conclusiva "My Generation".
La versione rimasterizzata del 1995 ha, invece, contribuito a rimpolpare in modo assai consistente il platter, aggiungendo ad essa alcuni inediti e diversi cavalli di battaglia del gruppo, qui riprodotti con un approccio di gran lunga più incisivo rispetto agli omonimi originali.

L'album inizia con l'infuocato inedito "Heaven And Hell", scritto dal bassista John Entwistle e caratterizzato da una solida sezione ritmica a firma Entwistle-Moon e da una chitarra solista di Townshend decisamente in formissima.
"I Can't Explain" mette, invece, in mostra l'ottimo "rifferama" di Townshend che anche qui si conferma ad ottimi livelli, segue poi la cover "Fortune Teller" di Naomi Neville (coverizzata anche dai The Rolling Stones) e "Tattoo" entrambi buoni pezzi che si fanno ben apprezzare.
Il primo piatto forte viene però servito con la cover del musicista Jazz statunitense Mose Allison "Young Man Blues" qui rifatta da Townshend e soci con un piglio decisamente aggressivo ed elettrizzante, al punto da venir considerato uno dei vertici assoluti dell'album.
Segue il trittico "Substitute", "Happy Jack" e "I'm A Boy", tutti pezzi tratti dai loro precedenti lavori, così come la mini-suite "A Quick One, While He's Away" che si fa notare, soprattutto, per la voce di Roger Daltrey che qui dà sfogo alla propria vena attoriale (tant'è che prima di diventare cantante della band era unaspirante attore).
"Amazing Journey/Sparks" tratto da "Tommy" è un altro bel saggio della potenza sonora in live della band che fa da apripista per la rocciosa "Summertime Blues", altra punta di diamante dell'opera, scatenata e roboante al punto giusto.
Di altrettanta ferocia è la successiva "Shakin' All Over" che fa il paio con la mitica "My Generation" che in questa versione Live si trasforma in un'autentica, irresistibile ed irrefrenabile suite in chiave Hard Rock per la durata totale di quasi 15 imperdibili minuti.
Chiude questa maestosa scaletta l'altrettanto storica "Magic Bus" contriddistinta dai riff assai pesanti di Townshend tendenti quasi al Metal persino e da una ritmica come sempre impetuosa e con un Keith Moon alla batteria in grandissimo spolvero come sempre del resto.

Con quest'album inizia, insomma, per i The Who la loro ascesa verso il regno dell'Hard Rock e verso altri loro grandi successi artistico-commerciali, a partire dal maestoso "Who's Next" dell'anno successivo fino alla loro seconda Rock-opera "Quadrophenia" del 1973, a completamento di quest'ideale "trilogia" decisamente memorabile.

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