Un volo, che ad ogni battito d'ali si alza, glorioso e immenso, che per ogni costellazione attraversata ricade negli abissi più neri, sfiorando la morte.

La voce di Tim Buckley era questo, e molto altro, la voce di Tim Buckley poteva essere qualunque cosa, e questo è il disco che lo dimostra. Dopo gli inizi folk e l'evoluzione graduale verso una nuova forma-canzone, dopo il jazz e l'eroina, dopo quel vuoto immenso che è Lorca, vero punto di non ritorno, Tim Buckley brucia tutto ciò che ha prodotto e ne ricompone minuziosamente le ceneri. E il risultato è Starsailor: acido, libero, insieme nerissimo e luminoso.

Non è propriamente un disco organico, ogni canzone è a se stante, i brani sono enormi monumenti che si innalzano tra pause di silenzio, senza mai toccarsi. C'è il blues di "Come Here Woman", ma è un blues disperato cantato da un uomo che annega, trascinato sotto la superficie dell'oceano più profondo da tentacoli invisibili. E poi c'è la luce, l'immensa luce dell'alba, e il mondo si risveglia, appena sfiorato da una tromba e da una chitarra in perfetta simbiosi in "I Woke Up". E il Caos, le urla primordiali di Buckley, "Monterey", traccia in cui è veramente protagonista la voce, disumana e sfigurata, che ulula e sanguina, lacerata da un riff quasi punk nella sua semplicità.

E poi, torna il Buckley degli inizi. Ma "Moulin Rouge" è solamente una pausa, necessaria per riprendersi prima del salto nel vuoto. "Song To The Siren": il mare, il mare aperto e sconfinato, e gli ultimi raggi del sole illuminano lo scoglio, su cui è seduta lei. E alla deriva, relitto di mille naufragi, Buckley eleva il suo lamento, ma qualcosa in lontananza urla, echi di speranza, echi di morte. E ritorna il fuoco che tutto devasta, in "Jungle Fire" finalmente la voce si alza, libera eppure così claustrofobicamente chiusa in sè stessa, tenta di spiccare il volo, ma è appesantita, è ferita, quasi cade. "Starsailor" è il punto di arrivo. Dall'abisso alla fine dell'universo, ormai puro spirito, la voce si divide nelle sue infinite parti, e vi si rispecchia in un gioco infinito di rifrazioni.

E poi, l'Inferno. "The Healing Festival" non si può definire in altro modo. Orgia di fiati, percussioni e Dio solo sa cos'altro, e quella voce, quella stessa voce che abbiamo visto alzarsi fino ai cieli, ora è ricaduta sulla Terra, purificata e pronta ad abbandonarsi di nuovo ai peccati terreni, ora guida le danze di questo rito pagano. E siamo veramente tornati a terra, Buckley ha già raggiunto il suo scopo, ha già visto, toccato, ascoltato l'infinito. E allora si può permettere una chiusura leggera con "Down By The Borderline", ovviamente trattata con la maestria di sempre, e soprattutto con grandi assoli di tromba.

Starsailor è l'irraggiungibile, e la via per arrivarci, Starsailor non è un disco difficile o facile, non è rock, non è jazz, non è neanche musica. E' una rotta tracciata a caro prezzo dal navigatore delle stelle, per permettere all'arte di raggiungere altezze vertiginose, per permettere all'uomo di diventare pari agli Dei.   

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