Here comes another beautiful loser.

“Ho scritto questa canzone per un amico, è come se l’avesse scritta Tom Jans, perché c’è lui, con tutto il suo spirito”. Ma chi è Tom Jans? A chiarirlo è nientemeno che Tom Waits, che dedicò a Jans “Whistle down the wind”, magnifica ballad che adorna quel capolavoro assoluto di “Bone Machine”.

Non basta neanche sapere che il nostro ha duettato per due anni buoni con Mimi Farina, sorella minore di Joan Baez, con un buon riscontro di critica e pubblico, verso la fine degli anni ‘60, per farvi accendere la lampadina. Niente, vero?

E vabbè, proviamo a mettere ordine: Tom Jans nasce a San Jose, nel 1948, fortemente influenzato da Hank Williams, il flamenco e i Beatles, con una nonna che ha militato nientemeno che nei Rocky Mountain Five jazz group.

Dopo i duetti con Mimi Farina, Tom Jans scrive “Loving Arms”, grande successo di Kris Kristofferson, coverizzata nientemeno che da re Elvis in persona.

Un pedigree del genere avrebbe conferito successo a chiunque, ma non a lui, purtroppo. Dopo un disco omonimo, nel 1974, registrato a Nashville, Tom fu costretto a tornare a Los Angeles a causa dello scarso riscontro di vendite.

Ecco che esce “The eyes of an only child”, appena un anno dopo, su etichetta Columbia e produzione nientepopodimeno che a cura di Lowell George, deus ex machina di tali Little Feat.

E’ sua infatti la rutilante “Gotta move” che apre il disco, un country folk sognante, nella migliore tradizione Nashville.

Ma non è finita qui: c’è una “Once before I die” che John Denver scansati, a seguire un incendiario Blues-cajun “Where did all my friends go”, provate a non muovere le terga, that’s impossible.

Ma la vera bellezza, la grande bellezza, risiede nella struggente e assolutamente immaginifica “Inside of you”: un pianoforte che viene da un’altra dimensione e parole dolenti su un amore finito, trasparente, ma che riecheggia dentro, come se Van Morrison si fosse trasferito nella Death Valley assieme a David Ackles a cantare distaccato e rassegnato. Da pelle d’oca.

“Struggle in Darkness” è un’altra carezza in un pugno, un soul-gospel da capogiro con un pianoforte barrelhouse, un moog che ti trafigge l’anima, inerpicandosi in un assolo da far piangere anche il buco del culo.

Fu anche una hit da FM, rob de matt! Queste sono le cose per le quali vale la pena vivere, altrochè.

Non è che il resto del disco sia da buttare, no no. Ad esempio “Lonely Brother”, che a Elton John sarebbe piaciuta molto, oppure “The Lonesome Way Back then”, degna di un vero Hobo. E la title track? Una torch song da far impallidire Bob Dylan, parola mia.

Inutile aggiungere che, nonostante le allettanti premesse, il disco fu un fiasco assoluto.

Seguirono gli splendidi “Dark Blonde” e “Champion”, quest’ultimo uscito solo in Giappone, dopodichè, incassati gli ennesimi insuccessi, Tom morì nel 1984 per sospetta overdose, non senza aver sofferto come un cane per un incidente in motocicletta, che gli compromise i reni.

I dischi sono di difficile reperibilità, ma con un po’ di culo, su Ebay si trovano le ristampe jappe e qualche vinile.

Date una possibilità al povero Tom, che di sicuro starà fischiettando nel vento, immaginando di essere in una chiesa qualunque di San Jose. Salùt.

Carico i commenti...  con calma