Mi son fatto un giro per siti musicali prima di mettermi a scrivere sta roba, e ho costatato che il terzo omonimo album dei Tower of Power viene indicato da più parti come quello in cui il gruppo definisce compiutamente la propria proposta musicale. I due che seguono, anche loro figli di quella che è possibile considerare la formazione migliore dei ToP, vengono generalmente indicati come lavori in cui è apprezzabile una riconferma ad ottimi livelli, ma nessuna novità di un certo spessore. Nel caso in particolare di “Back to Oakland” non so quanto sia opportuno vederla in questo modo. Probabilmente è vero che sul piano delle idee di peso il gruppo non sia andato molto più in la di dove fosse già arrivato in pezzi tipo "What Is Hip?", differenze nel sound è però possibile trovarne rispetto al disco precedente, e personalmente, mi fanno preferire questo, anche se di poco.

Gli ingredienti principali della ricetta del sound sono gli stessi: funk nella direzione di Sly & the Family Stone, soul nella direzione di Curtis Mayfield (è merito di Imasoul se so che sia), sassofono baritono bello presente nella sezione fiati, addizioni di jazz e rock, in quantità variabili di volta in volta. Anche in questo caso le due strabordanti anime della band, quella ritmica e quella melodica, riescono a trovare un equilibrio, e la mia sensazione è che sia spostato più a favore dell’anima ritmica. I due ingranaggi che la compongono, Rocco Prestia (basso) e David Garibaldi (batteria), paiono essere meno disposti della volta precedente ad allargare le maglie della loro fitta trama ritmica per permettere alla bella voce di Lenny Williams o alla linea di fiati di lanciarsi in ariose modulazioni melodiche che tendono a confettizzare un po’ il mood. I momenti di molla ci sono ma in genere vengono eseguiti con un piglio un po’ più jazzy e con l’inserimento di parti gustose come il gran bel solo di organo di “Just When We Start Makin' It”. In generale il suono mi pare un po’ più spigoloso che nell’album precedente, il ritmo più serrato, le parti strumentali e il jazz hanno più spazio (fantastica “Squib Cakes”).

La tavola dei colori è amplissima, e merita sicuramente di essere segnalato anche il lavoro di amalgama e ricamo tra le varie anime della band fatto dell’ organo di Chester Thompson (che non c’entra nulla con il batterista dei Genesis) e della chitarra di Bruce Conte. Ma la mia passione per i Tower of Power è merito principalmente di Rocco Prestia. Con Bootsy Collins e Larry Graham forma il gran gruppo di innovatori in ambito funk del basso elettrico. Sentendo il suo lavoro si capisce da dove salti fuori tanta gente (es. Jamiroquai). Il suo famoso tappeto di sedicesimi e ghost note, realizzato con quel suo particolare modo di stoppare le corde, lascia un mucchio di libertà a David Garibaldi che può così realizzare groove da manuale per batteristi. Assieme i due costituiscono una macchina ritmica poderosa, ("Oakland Stroke...", "Squib Cakes") in grado di non far sentire gli anni che la musica del gruppo si porta sulle spalle. Ho ascoltato per la prima volta Oakland Stroke non tantissimo tempo fa, in quel moemnto il pezzo aveva già una trentina d'anni sulle spalle, ma per me è stata lo stesso una bella botta. Gran disco.

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