Il new prog è stato un genere più variegato di quanto, ad un'occhiata distratta, possa sembrare.

I Pendragon avevano adottato un approccio pedissequo ma affascinante, i Marillion avevano elaborato al meglio le intuizioni dei primi Genesis, i Pallas erano affascinati dal lato più "duro" del movimento. Spesso nel calderone del progressive ottantiano si sceglie di inserire (forse sbagliando) un altro gruppo: i Twelfth Night.

Il gruppo del grande Geoff Mann cercò, a differenza di quelli citati sopra, di eliminare quasi del tutto gli stereotipi del genere, essendo di fatto prog più nelle intenzioni e nelle idee che nella scelta dei suoni.

Non stupisce allora l'utilizzo essenziale (e mai invadente) delle tastiere, relegate in secondo piano rispesso al basso e alla chitarra.

In un certo senso quindi i Twelfth Night possono essere assimilati alla new wave e al dark per l'impasto sonoro, al new prog per gli ambienti  musicali frequentati (gli stessi di Marillion, Pendragon ed Iq) e per la ricercatezza dei suoni.

L'album di debutto è un live (caso più unico che raro): Live at the Target, dove il gruppo ha modo di mettere in mostra le proprie qualità strumentali, basate soprattutto sulle chitarre e su un approccio oscuro e romantico.

E' però con l'ingresso dell'inusuale vocalist che i Twelfth Night spiccano il volo, viene allora pubblicato Fact and fiction, il loro capolavoro. I temi dell'album si nutrono delle paure legate alla guerra fredda, e le dilatano, i testi si inerpicano su virtuosismi lirici che racchiudono la follia, l'alienazione (a tratti si sente l'influenza di Orwell), la paura di essere soli, il rifiuto dell'ideologia capitalista.

Sintomatica è allora "We are sane" che si apre con la voce folle e cangiante di Geoff Mann, circondata da uno scenario sonoro apocalittico: un orologio scandisce il tempo, mentre s'odono echi di morte e di desolazione. Il testo è affascinante e avvince, mentre l'istrionico Mann conduce il brano su scenari cangianti, ma comunque permeati da quel pessimismo cosmico che non abbandonerà mai il gruppo.  
"Human being" rincara la dose, con un cantato ancor più allucinato e "insano", mentre i musicisti sembrano ritagliarsi qualche preziosismo strumentale in più (anche se il pezzo ha una durata inferiore).
Con "This city" mantiene lo stesso spirito, ma il cantato qui è più dimesso, rassegnato (the abstracted shapes of the people's thoughts/different shops and pubs/all the cheap facades).
Il bellissimo strumentale "World without end" è un flebile motivo di sollievo: le atmosfere restano oscure, ma qui i Twelfth Night sembrano  volerci ricordare di essere comunque legati al progressive, seppur fatto a modo loro. L'intermezzo contiene anche alcuni spunti delicati e sognanti, che non ritroveremo più nel corso del''album.

Il gruppo però gioca con noi, ci prende quasi in giro (nel senso più buono del termine), mischiando le carte in tavola.

Ecco quindi, dopo un accenno al prog, una virata verso la new wave (con batteria in primo piano): la title track. Il tutto però appare più stereotipato, e si distacca nettamente da quanto fatto in precedenza. Il brano è piacevole e si lascia ascoltare, ma si lascia infatuare dal morbo del pop anni '80.

"The poet sniffs a flower" è uno strumentale bello e coinvolgente, con atmosfere rilassate e interessanti. Il gruppo mantiene una compattezza encomiabile, anche quando il tutto acquista vigore, con una seconda parte più movimentata e frenetica. Le chitarre sono allora in primo piano, ma non eccedono in eccessivi virtuosismi.
Il capolavoro nel capolavoro è "Creepshow".
Apoteosi delle ideologie del leader, presenta un testo da sagra dell'imperfetto e del macabro (riprende sotto questo aspetto qualcosa da film come Freaks).  I veri fenomeni da baraccone sono coloro che pagano per vedere uno spettacolo così agghiacciante, coloro che utilizzano le menomazioni umane per fare spettacolo. Mann è qui particolarmente ispirato e cattivo: ascoltate l'urlo allucinato e rabbioso a metà brano.
La seconda parte presenta anche deliziosi spunti strumentali, ma è il vocalist a dettare i tempi, a far evolvere il brano verso coraggiose intuizioni (il lungo parlato potrebbe apparire noioso, ma è fondamentale nel contesto di questo brano).

L'album si chiude con la rassegnata "Love song". Tutto è più delicato e la rabbia sembra ormai finita: il ritornello riprtuto numerose volte ci conduce alla fine del viaggio, e lo fa nel migliore dei modi.

Purtroppo il magnifico idillio creato dal gruppo si spezzerà di lì a poco: Mann abbandonerà il gruppo alla fine del tour, lasciando un vuoto incolmabile per le sorti dei Twelfth. Andy Sears (il nuovo cantante) non saprà ripetere le gesta del predecessore ed il gruppo si smembrerà di lì a poco.

La parola fine sui Twelfth Night la metterà un tragico evento: Geoff Mann muore nel 1993, stroncato da un cancro. 

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