Mi accingo a scrivere questa recensione mentre sto ascoltando per la sesta volta un album che ha avuto il grandissimo merito di farmi cambiare radicamente idea sul conto di Vasco Rossi e della sua carriera: il disco in questione è Sono Innocente, appena uscito lo scorso 4 novembre che, a mio onesto avviso, rappresenta uno dei suoi album più riusciti in assoluto, da quando lo scorso anno di questi tempi egli stesso prese la decisione di disintossicarsi in una clinica specializzata dai suoi noti problemi con alcool e droga, per poi ripresentarsi in forma smagliante nelle 7 date (4 a San Siro e ben 3 all’Olimpico di Roma, a una delle quali ho avuto la grandissima fortuna di parteciparvici) del suo famoso Live.Kom014 dello scorso fine giugno / inizio luglio.


vasco-rossi-album-555x555


L’album stesso prende, difatti, spunto dalla quella fortunassima serie di concerti dello scorso fine giugno/inizio luglio nei quali il Rocker di Zocca (o ilKomandante, per i fans più accaniti) decide finalmente di accantonare una volta per tutte il sound decisamente “morbido” degli ultimi tempi per puntare tutte le proprie energie su un prodotto alquanto all’avanguardia che alterna in maniera assai ben riuscita la vena cantautorial-poetica del Blasco con suoni marcatamente tendenti all’Hard Rock e alla sfera del Metal statunitense, come vedremo da lì a poco, anche e soprattutto grazie alla sua solita line-up che s’imprezioscisce grazie alla presenza del giovane chitarrista / compositore / produttore Vince Pastano che di fatto è il vero artefice di questo riuscitissimo album.

E’ difatti il duro riff iniziale di Pastano a dare il calcio d’inizio a Sono Innocente Ma…, una canzone dal tono potente ed incisivo, caratterizzato dall’altrettanto debordante assolo di moog che porta la firma dello storico “Lupo maremmano” Alberto Rocchetti e da un testo che rappresenta in sostanza uno spaccato autobiografico del Vasco con un invito a non darsi mai e poi mai per vinti nonostante le difficoltà: “Sparatemi ancora / così vedremo chi cade chi perde chi ruba / e chi sorride e chi c’ha la pelle dura / facciamo una prova / vediamo come te la giochi / se vivi tra due fuochi / se cadi come un pollo / o se resti in piedi come Rocky”. La stessa falsariga viene seguita dalla successiva Duro Incontro, una raffigurazione autoironica della testa semi-calva del cantautore, in cui a farla da padrone sono ancora una volta i riff e gli assoli di Vince che risuonano come fragorose frustate verso l’ascoltatore che ormai sembrava ancora una volta rassegnato a sorbirsi la solita “minestrina riscaldata”, fatta dal solito miscuglio (a dir la verità, nemmeno tanto ben riuscito) tra Pop e Rock. Il prezzo che ritrae maggiormente questa vena tremendamente vicina alle istanze di gruppi di primissimo rango del Rock/Metal americano, come Metallica, Pantera e Black Label Society per fare alcuni nomi eccellenti, è sicuramente Lo Vedi, il cui assolo centrale sempre ad opera dello straordinario Pastano sembra ricordare, ascoltandolo attentamente a occhi chiusi, uno qualsiasi di un Dimebag Darrell o di un Kirk Hammett d’annata, per giunta!

Comunque, nel disco c’è anche un ampissimo spazio riservato a pezzi “made in Vasco”, come nella bella Come Vorrei, un’inappuntabile pezzo di marcate sonorità pop/rock in cui un Vasco riflessivo e dolente riflette anche qui sulla propria vita trascorsa tra paurosi alti e bassi: “Al contrario di te / io non lo so / se è giusto così / comunque sia / io non mi muovo / io resto qui / sarebbe molto più semplice per me / andare via / ma guardandomi in faccia / dovrei dirmi una bugia / Come vorrei / che fosse possibile / cambiare il mondo che c’è / ma mi dimentico che / dovrei vivere senza te”.

Tale “imprinting” la troviamo nell’altrettanto bella e riflessiva Guai, scritta a quattro mani con lo storico amico/collega di Vasco il leader degli Stadio (e collaboratore anche per conto di un’altra stella del firmamento del Rock italiano quale Lucio Dalla) Gaetano Curreri: “Guai / non devi dirlo mai / che adesso non lo sai / se poi mi amerai tutta la vita [...] / Tu non me la racconti / non mi interessa che / non mi puoi venire a dire a che ora piangi / se sei / insieme a me / togliti dalla testa / non puoi disfarti di me / se non sei felice come una volta / non puoi dare / la colpa a me.”

Aspettami è un altro ottimo pezzo “made in Vasco” che si fa notare per una struttura nient’affatto dissimile al pop/rock americano. Altra canzone molto significativa del tandem Vasco-Curreri è Quante Volte, caratterizzata da da un altro bell’assolo di moog a metà pezzo e, soprattutto, da un testo che per l’ennesima volta rivela uno spaccato autobiografico del Blasco: “Quante cose son cambiate nella vita / quante volte sono sempre così / quante volte ho pensato è finita / poi mi risvegliavo il lunedì [...] / Io non voglio più vivere solo per fare compagnia / io non voglio più ridere / non mi diverto più ed è colpa mia / non ho voglia di credere / che domani sarà / sarà diverso e poi / chi lo sa”.

Considerevole spazio viene, inoltre, riservato ad “inediti” (ma non troppo) pezzi della spiccata attitudine Blues: un esempio è Dannate Nuvole, in cui domina un afflato filosofico (“Quando cammino su queste / Dannate Nuvole / vedo le cose che sfuggono / dalla mia mente / niente dura, niente dura / e questo lo sai / però / non ti ci abitui mai”) e un assolo ben cesellato da parte del reddidivo Stef Burns, lo storico chitarrista del Vasco a partire da Gli Spari Sopra del 1993 (ex-Alice Cooper, tra l’altro). Il Blues Della Chitarra Sola ci catapulta per la durata di circa 3 minuti nel fatato mondo Rock/Blues degli anni ’70, anche grazie alla perfetta interazione tra un’eccellente sezione di fiati, la slide guitar di Pastano e l’assolo centrale sempre molto “caliente” di Burns che in alcuni fraseggi qui sembra ricordare chitarristi del calibro di Eric Clapton e Carlos Santana. Cambia-Menti è un altro pezzo caratterizzato da un altro eccellente assolo di Burns e da dei versi che evidenziano, perché no, anche con un certo accento ironico l’esigenza del cambiamento che in primo luogo deve avvenire in noi stessi: “Cambiare macchina è molto facile / cambiare donna un po’ più difficile / cambiare vita è quasi impossibile / cambiare tutte le abitudini / eliminare le meno utili / e cambiare direzione”.

L’album si conclude con la purissima esplosività della strumentale Rock Star, un autentico missile terra-aria sparato a velocità supersonica che ci proietta verso Rock/Metal più duro e (volutamente) sporco, grazie a riff di moog e tastiera di altri tempi sui quali si stagliano i potenti assoli di Pastano e Burns che sembrano ingaggiare reciprocamente un vero e proprio “assalto alla diligenza” fatta di tecnica e potenza allo stesso tempo.

La facciata finale è riservata a tre “bonus tracks”: L’Uomo Più Semplice (Reloaded) qui in versione scintillante e con in primissimo piano le solite chitarre di Stef Burns; L’Ape Regina, un’allegra ballata dal testo solo in apparenza banale che però rivela la natura, diciamo, abbastanza “libertina” di certe donne/ragazze prive di un qualsivoglia valore nella propria vita e, infine, Marta Piange Ancora, una divertente canzone che, alla maniera di un Rino Gaetano qualunque, ironizza su una ragazza di nome Marta che è stata appena lasciata da un ragazzo (anch’egli, in realtà, piuttosto privo di valori) e che sfoga la propria delusione e rabbia con gesti eclatanti, dipinti sarcasticamente dal Blasco (ma non troppo, a dire il vero).

Questo lavoro che ho apprezzato moltissimo sin dal primissimo ascolto è dunque la prova tangibile della “svolta” annunciata e qui pienamente realizzata del Vasco nazionale e del suo sound, dopo le ultime prove discografiche che sinceramente reputo alquanto deludenti o perlomeno discontinue, e sono convinto che nei prossimi concerti previsti per l’anno prossimo venturo ci stupirà ancora una volta come ha sempre fatto dai suoi quasi 40 anni di carriera a questa parte.


Carico i commenti... con calma