Sto finendo le sigarette. È un problema, anche perché fuori fa freddo e non mi va di uscire.

Requiem per me allora, che evidentemente merito una fine bruttissima. Presta l’orecchio, si avvicina il canto festante della morte, che nuova linfa porta alla terra. La nera signora si sa, non va per il sottile.

Vado a consumare la penultima. Il mondo è un’attrazione turistica indi per cui potrei sopperire alla mancanza di nicotina con la pornografia. O magari chessò con la musica.

La morte fuma ne sono certo, alla fine se ci pensate è il lavoro più merdoso dell’universo, non stai un attimo fermo, una cicca ogni tanto minimo.

Credo di far parte di un incubo, qui il muro dei Verdena raggiunge un grado di perversione inaudito. Questa la loro cifra stilistica, mutare ad ogni album che esce. E lo sanno che stanno sparando le ultime cartucce della violenza viscerale, perché dopo arriverà WOW, paura e delirio.

L’inizio è affidato ad un trittico che semina già molte vittime, Don Calisto che c’illude scherzosamente sullo scorrere del tempo: “è come un fiume lo vedi o no?”; Eugenio per brevità è l’incubo di tutti i dermatologi assaliti da risacche di pus fetido; poi arriva Angie, signori neanche la pudicizia di nascondere il titolo: “lunedì è il giorno delle streghe”, l’ossessione dei temi ricorrenti di Alberto e soci, prima vera bordata che introduce la psichedelia nel disco.

Gioia disperata, lucida follia, in Muori Delay sembrano gli Strokes sotto metanfetamine. Il tutto si chiude con Alberto che inizia: “credo di far parte di un incubo”. Non so ma non mi sembra una riflessione interiore questa, quanto uno sfogo verso il nulla cosmico che ci circonda. Come fa un verso così struggente a degradare in tanta violenza. Sembra quasi un parallelo con la morte, al tuo funerale non ci sarà nessuno a dirti com’è andata, se sei riuscita o riuscito a cogliere un fiore in vita tua, se ne hai fissato la perfetta geometria ed annusato il polline.

“Per sempre nei guai, gonfio di lividi, non cambierà mai”. I Verdena cambiano sempre invece e mi spiace di non averli visti nel tour di Requiem. Il disco si chiude con un inno all’autodistruzione, al flagellamento. Non si balla. Si fissa il vuoto. Sto finendo le sigarette di nuovo.

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