Affabulatore incantaci, dacci dentro con la fantasia, ma non scordare l'essenziale. E incendia, incendia l'anima con le cose vere, che sono poche e sempre quelle. Nasconditi con noi nella grande notte alcolica dove la musica trova la strada del cuore quasi come il vino quella della gola.

Assaggia il rifugio sicuro della taverna, lo spazio sacro che i saggi chiamano ventre della balena e i malinconici cantuccio d'ombra. Dove ognuno è solo e se anche c'è uno sguardo d'intesa, beh quello sguardo è il sigillo universale della sfiga. E nessuno insegna niente e tutto è vero, dal coltello puntato contro se stessi fino all'ultima illusione sotto le scarpe. Quindi ecco a voi il più clamoroso canto da ubriachi della storia, “un lamento che si canta in coro e si balla da soli”. Un vortice di tensione e assenza finito “nel precipizio più profondo”.

Del resto avevi già scoperto che il vero rock'n'roll era quel folk accesissimo e vitale che veniva dall'est. Era l'epoca Kocani coi concerti che iniziavano sul palco e finivano in strada come in “Underground” di Emir Kusturica. Arrivato a quel punto, ti mancava solo il blues degli elleni; il pallore mortale di Anestis Delias, il rospo in gola di Marcos Vamvakaris, la bellezza senza tempo di Rosa Eskenazi. Con una sola differenza e non da poco, la forza non era più centrifuga, ma centripeta. La musica non incendiava più il mondo, incendiava il cuore.

Io dal canto mio ricordo un'isola blu/bianca sempre battuta dal vento e due tizi che una sera suonavano il rebetiko, “Poli varì” disse una dea locale. “Poli varì”, ovvero molto pesante. “Ma di che parla?” “Dice che va alla taverna, poi alla fumeria, poi torna a casa fatto come un cavallo”. “Ah, ok”

Allora non sapevo che quella musica era un sacco di cose: il primo cantuccio che ti sei trovato, la prima volta che ti si è aperto il mondo, la prima volta che si è chiuso, il primo goccio d'alcool con l'anima che corre. Tra stordimento e arrembaggi del reale, una presenza: quella dell'esilio. Siam tutti dove non dovremmo essere.

Ti ricordi Vinicio quando ai tempi di “Modì” ci facevi lo spelling della parola boheme? E quando Agostino ti diceva: “tu sei un'anima antica”? E che può fare un'anima antica se non essere un'anima a sud? La malinconia davanti al mare, tutta quell'acqua “piena di sangue e sperma”, l'inclinazione improvvisa di un raggio di sole in una zona d'ombra, la gioia di vivere nonostante tutto. Canta la sventura, se sventura non vuoi.

In questo disco, mescolate con sapienza nel calderone rebetico, si incontrano tutte le musiche che del rebetico son cugine prime: tanghi, milonghe, morne e via dicendo. Con quella tua voce sabbiosa quasi fosse impastata nei fondi di caffè dove è scritto il destino, gracchiante come un vecchio e polveroso disco a 78 giri, infantilmente romantica, meravigliosamnete viva.

Anarchia dei sentimenti, dolce/amaro dell'anima non riconciliata, rebetico significa ribelle, ma anche cosa vagante. E quindi si, affabulatore incantaci, dacci dentro con la fantasia, ma non scordare l'essenziale. E incendia, incendia l'anima con le cose vere, che sono poche e sempre quelle. Fino a che...

Fino a che “Atahualpa o qualche altro dio non ti dica escansate nino, che continuo io...

Atene, 2012...

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