Stanchi dei soliti (spesso prevedibili e inespressivi) dischi Power-Epic-Symphonic-Barbaric-Trallallero Trallallà Metal?
Stanchi delle solite gloriose (?!?) cavalcate "a pugno alto" da festival del "già sentito"?
Stanchi dei soliti guerrieri che brandendo preziosissime, magiche e insanguinate spade di smeraldo galoppano su verdi valli incantate per sconfiggere l'uomo nero?
Beh. . . Non vi preoccupate. . . Non siete gli unici. . . Anzi, siete in ottima compagnia.
Sembra infatti che, in tempi non sospetti, addirittura il buon Sascha Paeth, (musicista e, soprattutto, produttore di qualsiasi album raffiguri in copertina un Drago, uno Spadone o un Guerriero trionfante su un cumulo di carcasse), forse stanco del solito tram-tram eroico-metallaro, mise in piedi un progetto squisitamente Rock (sinfonico, prog etc. . . ), che pochissimo aveva in comune con i suoi precedenti lavori (prodotti o suonati). Questo progetto risponde al nome di Virgo e vede impegnato come cantante e co-compositore un certo André Matos, popolare e talentuosa ugola degli Shaman (e precedentemente negli Angra), abile nel tentativo di ridimensionare la sua altissima voce per donarle un tocco Rock-operistico decisamente inaspettato e originale (per i suoi standard).
Il primo (e per ora unico) album partorito da questo progetto risulta l'omonimo del 2001 che mi accingo a recensire (ed era ora, direte...).
Allora. . . Ci troviamo davanti ad un lavoro atipico, dai molteplici umori, molto vario ed al contempo difficilmente catalogabile, un lavoro dove i nostri 2 protagonisti sembrano aver riversato tutte le loro influenze "non-Metal" e che spesso e volentieri si affida a studiati arrangiamenti orchestrali ( di una vera orchestra "ristretta" con tanto di coro a 6 voci) creati dallo stesso Matos (ricordiamo che il Sig. Matos prese un diploma al conservatorio in direzione d'orchestra) e curati in ogni particolare da Paeth.
L'album si rivela un omaggio a un trentennio di musica Rock (60-70-80), e viaggia su continui cambi di marcia che denotano le diversissime influenze presenti (su tutte quella, un po' più accennata, dei Queen, tanto amati da Matos). Passa, noncurante, da parti "progressive" a veloci ed elaborati momenti Rock (glam, pop, aor) dal sapore settantiano, si districa abilmente tra dolci e romantici fraseggi e sterza violentemente verso esplosioni Gospel e Soul dove i cori danno un particolare e magnifico tocco di solennità (forse qualcuno potrebbe trovare una forte vena crossover stile Faith No More periodo King for a Day, soprattutto nell'ultimo pezzo "Fiction").
Parentesi liquide, passaggi folcloristici coadiuvati da trombe, violini ed orchestra, una cura maniacale rivolta ad una scorrevole armonia melodica e su tutto una minuziosa ricerca "atmosferica". Forse la chiave di lettura di questo lavoro è proprio l'atmosfera: la solennità dei cori unita all'ariosità degli arrangiamenti e a quel tocco di calda positività, dona al tutto una rassicurante e lucida "sensazione" che si potrebbe definire "natalizia".
Se l'atmosfera è la chiave di lettura, l'emozione è il fine di tutte le composizioni dell'album. Pathos, romanticismo e luccicante eleganza (aiutata da una produzione perfetta) riescono nel difficile tentativo di emozionare l'ascoltatore senza farlo scivolare nella commozione, ma donandogli piacevole serenità e incantevole feeling sonoro.
Su tutto si staglia, sempre in primissimo piano, la particolare e avvolgente voce di Andrè Matos, stavolta molto più intima e calda rispetto agli altri suoi lavori, che a momenti alternati riesce ad essere grezza, dolce ed espressiva come non mai. Gli unici momenti forzati, probabilmente, si trovano nei passaggi più acuti ("Aimè forse la voce non è più quella di una volta Andrè").
Un lavoro vario, godibilissimo, melodico, studiato in ogni dettaglio e meno immediato di quello che si potrebbe pensare, un album dalle molte sfaccettature che riuscirà facilmente ad ammagliarvi.
Molto vario dicevamo, ma. . . C'è un ma. . . Dopo un attento e ripetuto ascolto, si ha la sensazione che il tentativo di riassumere le influenze e la scrupolosa ricerca di varietà, abbiano messo in secondo piano l'identità... Quell'identità (e personalità ricorrente) minima che, anche un progetto "atipico" come questo, deve avere. In un genere come il Rock, dove la ripetitività è la principale causa di caduta, a volte la sua antitesi (la varietà), risulta altrettanto debilitante.
Date comunque un po' della vostra attenzione a questo Virgo. . . Potreste scoprire una simpatica confezione piena di variegate squisitezze. Bon appétit.
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