Gli errori si possono forse perdonare, ma non dimenticare. E questo si chiama rimpianto.

Oppure si possono forse dimenticare, ma non perdonare. E questo si chiama rimorso.

Non ho mai visto suonare dal vivo Warren Zevon. E questo è per me un ENORME rimpianto, conscio come sono che a ciò non esisterà mai rimedio, perchè purtroppo (e son già otto anni, che mi paiono ottanta) "...anche la Speme, ultima dea, fugge i sepolcri". Ma è soprattutto un TERRIBILE rimorso. Ho visto concerti a pacchi di: strafamosi, famosi, mediamente noti, oscuri, oscurissimi, non rintracciabili dal sonar. Per alcuni di questi ho percorso pure svariate centinaia di chilometri, ma tanti, forse troppi, non hanno lasciato traccia alcuna, dimenticabili e dimenticati. Potessi, li metterei assieme tutti, ce ne aggiungerei come mancia un bel tot di belli, un paio magari di bellissimi e pure la medaglietta d'oro della prima comunione in cambio della possibilità di vederne uno solo di Warren Zevon.

[Inciso: per me Warren Zevon sta al rock come Sam Peckinpah al cinema, o Cormac McCarthy alla letteratura. Lui e pochi altri (pochissimi, quasi nessuno) è riuscito a soddisfare la mia sete di un rock che sappia essere assieme spettacolo e riflessione, plot e piacere della scrittura, pensiero e azione, pancia e cervello, muscoli e cuore. Lui (forse solo lui) è stato in grado, nel bel mezzo di una strofa rotonda o di un ritornello ben congegnato, con una chitarra affilata e una cassa banalmente in quattro, di tratteggiare figure memorabili della comédie humaine di ogni tempo e luogo: fuorilegge e cowboys del vecchio West, mercenari senza scrupoli, proletari chicani, lupi mannari urbani, doppizeri tossicomani, addirittura tormentati pugili-filosofi. Uno che in tre righe ti sbozzava con la medesima facilità ed efficacia quadretti "sociali" ("Portate avvocati, pistole e soldi / la merda è arrivata al ventilatore..."), oppure "personali" ("Stanno tutti in guerra al giorno d'oggi / Facciamo una piccola tregua / Ho bisogno di un po' di igiene sentimentale"). Rose che sbocciavano nel deserto. Così improvvisamente, così semplicemente. Fine dell'inciso].

Perciò, lasciando da parte per un attimo rimpianti e rimorsi e chiudendo gli occhi, ogni tanto DEVO far girare questo suo disco dal vivo del 1981, compendio di cinque spettacoli in cinque giorni tenutisi nella sua odiamata Los Angeles. Dire goduria somma è dire poco, con il poeta che si traveste da animale da palconoscenico per sorprenderci una volta di più. Perfino le sue ballatone voce e piano su cui ha costruito buona parte del suo monumento, quelle col cuore in mano e gli stivali texani impolverati, ottengono un surplus di emozione e ancora non ci si crede. In sostanza tutte le sue canzoni migliori, capolavori tra i capolavori da quei primi tre album (in realtà, quattro, perchè esisterebbe pure la falsa partenza dell'esordio del 1970 "Wanted: Dead or Alive", ma presto consegnato da tutti, autore compreso, al dimenticatoio) più un paio allora mai editate qui dentro cessano di essere bellissime ragazze con l'occhialetto intellettuale che ti fanno girare la testa in biblioteca, viceversa si mettono su da sera, trucco pesante e tacchi alti, meravigliose e ancheggianti puttane da una notte che non devono fare troppo sforzo per adescarti. Quello che perdono in intimismo se lo riprendono con i dividendi in muscolarità, accelerate da una batteria metronomica e pestona, da un piano boogie a rullo compressore, tutte impreziosite dall'amalgama di una band sontuosa su cui spiccano le svisate, da orgasmo, all'elettrica di David Landau. Poco o nulla qui di Dylan, Waits o dell'amicone Jackson Browne (beninteso, quello migliore). Invece, un po' di Reed, molto Springsteen (beninteso, quello migliore, quello che all'epoca stava sul palco anche cinque ore filate) e moltissimo Jim Carroll. E se cover dev'essere, allora che sia la fondamentale rozzezza di un Bo Diddley. Distillato di rock. Essenza di rock. Di quello che più invecchia e più è buono, perchè NON invecchia. Di quello che è al tempo stesso fuga in macchina a 200 miglia alla Kowalski o discesa nei bassifondi con Marlon Brando, il Jack Daniel's e le Lucky Strike. E soprattutto è sesso a (almeno) due con chiunque volete voi. Valga per tutte questa qui, solo e sempre 5 milioni di stellette a lei e a Zevon, perchè ancora oggi al milionesimo ascolto riesce a farmi sentire un ragazzo eccitabile.

Tutto il resto è masturbazione.

Forse il tuo manager non te l'ha comunicato, Warren, ma domani sera ti avrebbe organizzato un concerto. A casa mia.

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