Per tutti coloro che hanno amato il suono ormai andato della chitarra di Jimmy Page, l'hard rock sabbioso e vintage dei Bloodrock, la classe e la potenza dei Deep Purple, la scoperta degli svedesi Witchcraft è stato come rituffarsi indietro nel tempo, nel buio più totale, sperando in un riff di quelli importanti, capaci di ridarti le emozioni ormai perdute dopo l'inbarbarimento del rock. L'omonimo debutto era stato un fulmine a ciel sereno: sicuramente derivativo, ma certamente vero e suonato con una passione che da un po' di tempo non si riscontrava.

In tutto ciò Firewood rappresenta il secondo capitolo discografico del gruppo, guidato dal singer Magnus Pelander, l'istituzione del combo. Eppure, nonostante i buoni pareri della critica, non tutti sono rimasti pienamenti convinti della bontà di "Firewood". Il discorso da fare è doppio e complesso: se da una parte troviamo il background della band, fatto di sound datato (inizio seventies soprattutto), produzione volutamente scarna e richiami innegabili al passato, ne deriva che la conseguenza principale sia legata alla voce originalità. Partendo da cose già suonate, pur con la voglia di riportarle in auge attraverso un'azione di revival coraggiosa, il risultato finisce con l'essere (in parte) negativo. Bisogna convincersi che nulla ci riporterà indietro verso i capolavori del blues e dell'hard rock, ma bisogna comunque dare atto a chi con voglia di provarci e sopratutto coraggio si impegna musicalmente per ridestare il sound di quel periodo "cult" che si definisce tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta.

Questi legami con i "grupponi del genere" danno a vita ad un disco dalle due facce: da una parte troviamo la splendida opener "Chylde of fire", il doom/stoner di "Queen of bees", la ballata folk "Sorrow evoker", la freschezza della strumentale "Merlin's daughter" e al loro fianco pezzi con il freno a mano, che sembrano fin troppo forzati. "Mr. Haze", "I see a man" e "You suffer" rimangono sospesi tra l'hard rock e un doom/blues dal suono datato ma dall'appeal discutibile, partorendo quell'altra faccia a cui prima avevo accennato.

Alla fine dei giochi, "Firewood" risulta positivo ma anche riuscito a metà. Si percepisce fra i solchi dei brani di Pelander e soci la non completa maturazione, quel salto di qualità che garantisce una resa musicale migliore ed omogenea nella costruzione della tracklist e del mood generale. Resta un disco realizzato con coraggio, uno di quelli che non bisogna lasciarsi sfuggire se si amano questi tipi di sonorità.

1. "Chylde Of Fire" (2:50)
2. "If Wishes Were Horses" (3:16)
3. "Mr. Haze" (3:41)
4. "Wooden Cross (I Can't Wake The Dead)" (4:46)
5. "Queen Of Bees" (5:13)
6. "Merlin's Daughter" (1:32)
7. "I See A Man" (3:59)
8. "Sorrow Evoker" (5:44)
9. "You Suffer" (2:43)
10. "Attention!" (3:47)

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