Mai stato così tempestivo nel recensire un nuovo album! Uscito da appena 3/4 giorni, devo ammettere che il merito di cotanto tempismo non è mio, ma poco cambia perché sono ancora a scrivere dei mitici Yes o meglio di ciò che ne resta e se ci riferiamo alla formazione che nel 1969 sfornò il primo album omonimo: tutto è perduto come il compianto Alan White che l'anno scorso ci ha lasciati ed al quale è inevitabilmente dedicato questo lavoro. Membro degli Yes a partire dal colossale triplo dal vivo del 1973, il grande batterista è stato membro fisso del gruppo, salvo i primi album in cui è stato preceduto niente po' di meno che da Bill Bruford. Ora dopo cotanta genia batteristica è evidente che la ricerca di un rimpiazzo si poneva assai complicata per il buon Howe che se non altro per anzianità ed età (ne ha fatti 76....di anni) è il nuovo capobanda dalla scomparsa di Chris Squire; infine la scelta è caduta su tal Jay Schellen di provenienza heavy rock, anche lui non giovanissimo (63) e che non fa sentire particolarmente la sua presenza in "Mirror to the Sky".
Venendo all'album in questione è inevitabile rilevare la pessima perseveranza commerciale di sfornare 2 CD quando ne sarebbe benissimo bastato uno solo visto che il timing totale supera di poco l'ora, circostanza che ha reso inevitabile, ma è poi vero (?), la stampa di ben 2 vinili, circostanze che portano ad un costo complessivo piuttosto elevato di entrambe le versioni e a quello astronomico (circostanza tecnicamente ingiustificabile) della versione Blu Ray, partiamo male! A bilanciare un po' la prima impressione (negativa) ci pensa la "consolidata" grafica di Roger Dean, a proposito del quale nella precedente recensione, m'ero chiesto l'età che finalmente ho constatato essere alla soglia dell'ottantina! Un'altra cosa curiosa che lo riguarda è quello che può vantare d'aver venduto album con i suoi fantasiosi e surreali paesaggi extraterrestri nella ragguardevole cifra di 150 milioni di copie e passa..........prevalentemente proprio con gli Yes.
Ma il contenuto sonoro? Complessivamente senz'altro dignitoso, facilmente orecchiabile e tale da riconfermare, se non migliorare la buona impressione lasciatami dal predecessore "The Quest", andando poi al sodo direi che la titol track della durata di quasi un quarto d'ora, è un brano di valore assoluto di pura fattura prog sinfonico, da annoverare senza esagerazione fra le migliori composizioni degli Yes! Oh non ho mica scritto un'affermazione da poco, ma sono sicuro che anche gli estimatori di roba come "Close to the Edge" o "Tales from Topographic Oceans" troverebbero "Mirror to the Sky di sicuro assai valido: pieno com'è di preziose variazioni ed intercali chitarristici del buon Howe che il suo mestiere continua a farlo prorprio benino!
Nella scaletta del primo volume la title track figura solo al quinto posto, mentre normalmente la si posiziona in "pole", cosa facilmente spiegabile con l'obiettiva difficoltà di dare un seguito a cotanto brano, infatti gli altri 5 sono onesti, ma senza punte musicali in grado d'entusiasmare orecchie ormai abituate ad emozionarsi raramente per le novità artistiche (ahimè!); tutto musicalmente "a posto", con buone armonie e qualche ricamo di Howe di pregio, ma poi detto fuori dai denti a che pubblico si rivolgono ormai gli Yes con tale repertorio? In particolare dopo il defintivo annullamento (senza una spiegazione ormai plausibile) del già rinviato tour di Relayer, credo che la popolarità dell'amata formazione sia davvero in netto declino, Ci sta la perdita di Squire e White che mica se la sono scelta, ma quelle di Anderson, seppur discretamente sostituito da Davison, di Wakeman e Rabin non hanno trovato dei validi successori, cosa che si ripercuote inevitabilmente sull'originalità musicale del gruppo. Per concludere il primo CD segnalo la graziosa "Cut from the Stars" che strizza decisamente l'occhiolino ad un pop "evoluto", ora in voga nella terra della Perfida Albione.
Vado poi ad esaminare il "bonus CD", ma cosa starà a significare questo termine? Un gentile omaggio, materiale inedito o piuttosto un concentrato dell'arte di Steve Howe che ne è il compositore esclusivo? Non resta che scoprire le tre carte sperando siano assi!
In effetti "Unknown Place" ne ha tutte le caratteristiche e la mano o meglio chitarra ed ispirazione di Steve Howe sono qui al massimo e grazie pure a qualche mirato intervento di Geoff Downes sembra d'essere ritornati ai momenti più fulgidi della formazione, quando Rick Wakeman dilagava alle tastiere e Chris Squire dava il là a tutti. Si cala un po' con i due brani successivi: "One Second Is Enough" e "Magic Potion" dove prevale troppo la vena pop ed è archiviata completamente, o quasi, quella prog cui forse Howe ha scordato deve il successo storico dei suoi Yes e la simpatia di chi scrive.
Che lascio da parte per dare un giudizio senz'altro positivo, ma condizionato dalla scelta discutibile di cui sopra e lo svilimento pop di gran parte dei brani, argomenti che non mi fanno andare oltre le 3 stelle: peccato perchè forse maturando un po' di più quest'album, magari tagliando un paio di brani arcibanali si sarebbe potuto anche andare oltre. Rinfranca però che nonostante tutto il trend degli Yes sia in rialzo rispetto alla pena di "Heaven & Hearth".

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