Rendere un percorso ed un'esperienza personale paradigmatici per una moltitudine o, peggio, per l'intero genere umano è tra le eredità più terrificanti della nostra attuale società.

Le faccie sbiadite delle rockstar sulle magliette dei fans, le loro vite che diventano mere gesta eroiche ad uso e consumo della mediocrità di quest'ultimi, i Kurt Cobain che diventano portavoci della rabbia di un'intera generazione, mentre lo erano solamente della propria, sono tra i crimini più orribili che si consumano silenziosiamente nelle nostro quotidianità. Ed è proprio per questo che la storia di Vinicius Gageiro Marques, è quella che più m'ha fatto vibrare il cuore ultimamente. Figlio dell'alta borghesia brasiliana, ragazzo estremamente sensibile, giovanissimo suicida all'età di 16 anni (il suo decesso è avvenuto il 26 luglio 2006), nonchè avido lettore di Kafka, la sua storia nasce e si conclude nella dimensione più pura, ossia quella individuale. Le sue canzoni vennero composte da Vinicius solo ed esclusivamente per sè stesso; quel pugno di pezzi autografi ora pubblicato in questo postumo "A Society in Which No Tear Is Shed Is Inconceivably Mediocre" ('09) dalla Luaka Bop di David Byrne, venne ritrovato sul computer del ragazzo solo dopo le indagini successive al decesso.

E' musica aliena ed alienante quella di Yoñlu (il nick con il quale condivideva il proprio dolore esistenziale e - forse - anche il suo suicidio su Internet; che si possa parlare, ora, anche di alienazione del web?), un caleidoscopio di umori, che va però dal nero al nerissimo. Lo stesso malessere di Nick Drake ed Elliott Smith, evocato in un unico soffio di morte, viene da lui cantato con un'enfasi malinconica tipicamente brasiliana. La saudade di delicati soliloqui acustici come "Humiliation" ed "Estrela, Estrela", che rimandano ai suoi idoli natii Gilberto Gil e Vitor Ramil, muta però, nei lapidari e, purtroppo, profetici, versi di "Suicide" in una tristezza claustrofobica, opprimente. Tristezza, forse, figlia del suo talento cristallino perchè, oltre all'incredibile vicenda personale, quelle di Vinicio sono composizioni che godono di una bellezza propria, non lontana dall'assoluto. Precocissimo alchimista sonoro, riesce a coniugare perfettamente i sapori della sua terra (la samba di "Olhe Por Nòs") ad un certo rumorismo da camera, frutto però, invece che di approfondite ricerche sonore, solamente della sua instabile psiche. Piccole opere visionarie come "The Boy and the Tiger", che si divide tra epos morriconiano e rap al limite del grottesco, l'introspezione, quasi slo-core, di "Polyalphabetic Cypher", il raga di "Q-Tip",  il divertissement trip-hop di "Deskjet (Remix)" e la conclusiva "Waterfall", che fonde di nuovo questa componente elettronica al fingerpicking del già citato Drake e della sua irraggiungibile luna rosa, sono vitali e ricercati al tempo stesso, non sono che paesaggi mentali figli di una dolente urgenza interiore.

A differenza delle urla, celebri, delle rockstar sulla via dell'autodistruzione di cui sopra, questo è però un urlo muto, silenzioso. Questo annichilente senno di poi rende tutte queste canzoni un incontaminato flusso di coscienza. Un'esperienza "altra" che mi ha stregato...

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