Riassunto delle puntate precedenti:

Lo scorso decennio il cantante emiliano Zucchero Sugar Fornaciari lo aprì con un album di inediti molto sanguigno e ballabile quale "Shake", dove brani potenti si alternavano a grandi ballate. Il successo fu enorme con più di 58 settimane di permanenza in classifica. L'anno dopo fu la volta della colonna sonora di "Spirit cavallo selvaggio". Poi venne l'album di duetti con l'inedito estivo "Il grande baboomba", la canzone più stupida che egli abbia mai pubblicato, ma comunque divertente. Nel 2006 l'album di inediti "Fly" più acustico e artigianale del precedente. E poi un best e un live.

Ora Zucchero apre il nuovo decennio con un album di inediti dal titolo "Chocabeck" scritto in un simil-inglese ma che in realtà si riferisce all'espressione dialettale "Ciocabec" ovvero "becco che fa rumore", e si riferisce ad un ricordo dell'infanzia vissuta in campagna senza troppe disponibilità economiche, quando alla domanda del piccolo Adelmo "Papà, cosa c'è da mangiare" quest'ultimo rispondeva appunto "Ciocabec". E l'album intero è il frutto di immagini legate all'infanzia. Quasi un concept album che inizia una domenica mattina e termina la sera, davanti al fuoco e alle castagne.

Personalmente ritengo che questo sia l'album che quasi tutti i fan di Zucchero aspettavano. Un disco esclusivamente di ballate. Genere in cui il nostro è particolarmente bravo. Sì, perché nei dischi precedenti i brani che strizzavano l'occhio all'estate, con tutti quei doppi sensi volgarotti erano un po' troppi, ma ora giustizia è fatta.

L'album si apre per la prima volta dai tempi di "Blues" con una ballata lentissima; "Un soffio caldo", ed è già il capolavoro. Testo scritto dal collega conterraneo Francesco Guccini, questo vuol dire che liricamente la canzone è più che valida, ma questo si sapeva già prima dell'ascolto, perché con un autore come Guccini non si può sbagliare. Al primo ascolto le canzoni non arrivano subito, poiché si tratta di un album omogeneo e di melodie più o meno sulla stessa linea, quindi è chiaro che le canzone che arrivano subito all'orecchio sono quelle che hanno qualcosa che le differenza rispetto alla media, come quest'ultima perché scritta da Guccini.

Un'altra canzone che arriva subito al cuore è il primo signolo estratto "E' un peccato morir" scritta insieme al poeta Pasquale Pannella. Il testo rievoca un sacco di immagini che appartengono al dizionario della canzone italiana, come "Gloria, sei nell'aria" forse un riferimento a "Gloria, manchi tu nell'aria" e "Questa vacca di vita che in avanti all'incontrario va" che ricorda un po' il trano dei desideri di "Azzurro" che "All'incontrario va". Una canzone che in quanto a melodia e interpretazione vocale dà i brividi.

L'unica canzone con un ritmo leggermente accelerato e dal testo un po' volgarotto è "Vedo nero" che presente una linea melodica che ricorda vagamente "Canzone" di Lucio Dalla. Il nero del titolo si riferisce al pelo pubico femminile. "Come disse la marchesa camminando sugli specchi...me la vedo nera". Divertente, e probabilmente diventerà un momento clou nei concerti, con quel coro gospel piazzato alla fine in cui già mi immagino i cori dei fan al concerto. Un'altra canzone da brivido è "Oltre le rive" nella quale la melodia si sposa perfettamente con la voce. Malinconica e dal ritmo sixties è invece "Un uovo sodo" che cresce ad ogni ascolto.

Altro capolavoro è "Soldati della mia città" con quella melodia che all'inizio fa pensare ad una festa di paese e il ritornello che ricorda, forse un po' troppo, "Diamante". Leggendo qua e là su internet molti critici hanno eletto "Il suono della domenica" come canzone manifesto del disco. Dal punto di vista lirico sicuramente sì, perché è quella che meglio riesce a trasmettere il senso di appartenenza ad un paese e il ricordo delle domeniche e delle campane. Ma musicalmente servono più ascolti per apprezzarla. Questa canzone ha fatto parlare di sé per via del fatto che a scrivere il testo in inglese sia stato Bono. Traducendola come "Someone's else tears".

La canzone che dà il titolo al disco è impreziosita dai cori di Brian Wilson dei Beach Boys. E chi meglio di lui poteva con i suoi cori rimandare ad atmosfere sixties? "Alla fine" è una commovente dedica ad una persona scomparsa, mentre le due ultime canzoni mi serve ancora un po' di tempo per apprezzarle. Sto parlando di "Spicinfrin boy" e "God bless the child". Spicinfrin è un altro termine dialettale della bassa reggiana che vuol dire "Bambino carino e un po' selvatico". Mentre il testo dell'ultima canzone è stato scritto da Roland Orzabal dei Tears for fears.

Penso che questo album sia il più maturo di Zucchero, poiché le melodie sono eccellenti e i testi delle piccole poesie. E in quanto ai produttori di certo non hanno badato a speso. Oltre allo storico collaboratore Don Was, è stato chiamato Brendan O'Brien che ha già lavorato con Bruce Springsteen, AC/DC e Pearl Jam. Un grande nome quindi. Io personalmente sono più che soddisfatto da questo lavoro. Forse manca il grande brano, quello destinato ad essere ricordato, ma trattandosi di un concept è più probabile che questo lavoro verrà più ricordato in quanto album che non per le singole canzoni.

Buona la scelta di dare al titolo un'assonanza internazionale anziché mantenerlo in forma strettamente dialettale, poiché ultimamente col dialetto abbiamo assistito a troppe inutili discussioni da parte di certi ignoranti che anziché pensare ad imparare bene l'italiano pensano al dialetto. L'album esce oggi 3 novembre in contemporanea mondiale, ma io ho avuto la fortuna di averlo ieri e quindi avere più tempo per meditare sulle canzoni e scriverci su. Non so ancora quale accoglienza riceverà da pubblico, ma io sono ottimista perché "Chocabeck" è un piccolo capolavoro di un grande artista.

 

Alla prossima...

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