Secondo una teoria vecchia quasi quanto il mondo, le cose si vedono meglio a distanza di tempo. Piccole sfumature, colori, sensazioni diventano più nitide e ci appaiono per quello che sono, sfuggendo all'ingannevole ed effimera cortina fumogena che racchiude un momento. Se poi si pensa agli Alice in Chains e a questo "Jar of Flies" diventa subito chiaro come quanto detto sopra contienga ben più di una mezza verità. Nativi di Seattle e della florida scena Grunge come i più quotati Nirvana, gli Alice rimasero almeno inizialmente schiacciati dal carisma della band di Kobain, che si era lasciata alle spalle una pietra miliare del rock anni '90 chiamata "Nevermind" (settembre 1991) e che avrebbe segnato in maniera indelebile tanta musica ancora a venire.
Dopo una prima prova molto interessante ma ancora acerba sotto alcuni punti di vista e un secondo disco, "Dirt" che incarna perfettamente l'anima degli Alice in Chains e che ritengo essere la loro opera più convincente è proprio"Jar of Flies" (escludendo il mini, anch'esso acustico ma a parer mio trascurabile Sap) a dire di cosa era capace il gruppo. A fronte infatti della base decisamente Metal che emerge in "Facelift" e in "Dirt" è proprio la loro anima più intimistica e drammatica a dare la vera cifra di lettura del gruppo.
Il disco si apre con "Rotten Apple",  pezzo melodico molto triste, molto vicino ad una marcia funebre. Di seguito arriva la cartuccia migliore del disco, "Nutshell"  in cui su pochi semplici riff di chitarra la voce di Layne Stanley, espressiva e molto dolce, sbatte in faccia a tutti il dolore privato che lentamente lo sgretola da dentro ("e mi ripeto che se non potessi stare da solo preferirei essere morto"). "Stay away" vede l'utilizzo di strumenti ad arco, violini sopratutto, che giocano e bene con le armonie vocali del cantante, supportato da una band che fa perfettamente il suo dovere. L'opera vive delle delicate intuizioni musicali di Cantrell alla chitarra e del carisma vocale di Stanley, che non lascia scampo a dubbi in quanto a interpretazione e convinzione. Molto belle sono anche "Whale" e "Wasp" pezzo interamente acustico e "Don't Follow" in cui l'armonica la fa da padrone dipingendo scenari quasi country molto suggestivi e la voce di Cantrell, quasi sussurrata nella prima parte, regge benissimo l'equilibrio globale del pezzo.

Un disco molto bello quindi, consigliato a chi degli Alice in Chains non conosce niente e a tutti coloro che reputano la band di Seattle capace solo di produrre rumore, poichè il loro lato acusticoe intimo vale quanto, o forse  più, della loro componente Metal-Grunge.

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