Prove tecniche di rivoluzione, prima di "Highway 61 Revisited" (mancano pochi mesi): Dylan si attaccò alla presa e nacque il folk-rock. Dylan andò al Folk festival di Newport con la chitarra elettrica e Pete Seeger giurò che gli avrebbe tagliato la testa. Dylan aveva ceduto "Mr. Tambourine Man" ai Byrds ed era stato un successone. Dylan registra un disco metà elettrico (soft, per Diana) e metà acustico e diventa leggenda. Dylan registra "Riportando tutto a casa" portando a casa tutte le idee che gli giravano nel cervelletto. Dylan canta "Subterranean Homesick Blues" ed è ancora più sconcertante di tutto quello che aveva fatto nei tre anni precedenti: Johnny è in cantina, mischia la medicina, io sono sul pavimento e penso al governo… l’uomo vuole un biglietto da 11 dollari e tu ne hai solo dieci. Però questo blues ci dice che, va bè, "Blowin’ In The Wind" l’ho già scritta, è ora di cambiare: non c’è bisogno del meteorologo per sapere da che parte soffia il vento, grida con la sua voce da giovanotto sprezzante, Bob Dylan. Stesso discorso per "Maggie’s Farm": ho fatto del mio meglio per essere come sono ma tutti vogliono che tu sia come loro, e ti dicono canta mentre ti spezzi la schiena e io mi sono rotto. Chiaro, no?

Le canzoni d’amore ci sono e sono spettacolari, capolavori quali "She Belongs To Me", "Love Minus Zero" e "It’s All Over Now, Baby Blue". Quest’ultimo pezzo avrebbe reso immortale chiunque l’avesse scritto: lo ha scritto Bob Dylan ed era già immortale, il problema è che non voleva esserlo.
Il lato B è visionario, semplicemente. C’è l’infinita litania di bassezze e autodistruzione dell’uomo di "It’s All Right, Ma": il ritmo delle parole, le rime di questo pezzo lo fanno sembrare un rap. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere, tre accordi, otto minuti, dodici strofe dodici, quattro bridge e centinaia di parole gridate (la versione live di "Before The Flood" è ancora più mostruosa). Questa canzone non può piacere. Bisogna avere l’orecchio allenato, dimenticarsi i concetti di melodia e armonia, di bel canto, di orecchiabilità, di durata media. Non è forse nemmeno una canzone. Facile sarebbe dire: bene, perché non scrive libri, questo qui, al posto di fare dischi? Perché qui c’è l’invenzione. Avrebbe potuto farla assomigliare ad una canzone, ad una bella canzone con una bella melodia, ben scandita e ben cantata ("Love Minus Zero", ad esempio). Invece ha sfondato una barriera e ha creato qualcosa di nuovo, e, perdio, straordinariamente affascinante. Un testo vertiginoso, poi:

My eyes collide head-on with stuffed graveyards, False gods, I scuff, At pettiness which plays so rough, Walk upside-down inside handcuffs, Kick my legs to crash it off, Say okay, I have had enough, What else can you show me?

Se i miei pensieri potessero essere visti, metterebbero la mia testa in una ghigliottina, ma è tutto a posto, mamma, è solo la vita, la vita soltanto.

Stesso discorso vale per la fascinosa "Gates Of Eden". Non intendo parlare di "Mr. Tambourine Man". I tre pezzi minori, "Outlaw Blues", "On the Road Again" e "Bob Dylan 115th Dream" (spassoso) non riescono a intaccare minimamente la portata dell’album.

Faccio un paragone e non temo di esagerare: "Bringing It All Back Home", insieme a "Freewheeling" e "Highway 61 Revisited", ha la stessa portata rivoluzionaria (sia a livello poetico che come concezione stessa di canzone) sulla musica che "Le fleurs du mal" di Baudelaire ebbero sulla poesia mondiale. Basti "Mr. Tambourine Man" a dimostrarlo.

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