Il 9 marzo, undici giorni fà (rispetto al momento preciso in cui sto scrivendo), un uomo è stato trovato morto a casa sua, ad Atkinson, New Hampshire. Si è suicidato asfissiandosi da solo col monossido di carbonio (della sua auto, presumo). Aveva 55 anni, e il suo ultimo messaggio al mondo è stato un semplice << I'm a lonely soul >>.
Quell'uomo si chiamava Brad Delp, e cantava in un gruppo di AOR, o rock melodico che dir si voglia, chiamato Boston.

Per quello che posso fare nel mio piccolo, in segno di rispetto verso un grande artista, dedico alla sua memoria quesa recensione; non sarà minuziosa e matematica come le altre, per il semplice fatto che la scriverò tutta d'un fiato, e l'unica cosa che rivedrò della stesura originale saranno gli errori di ortografia, in modo da facilitare il lavoro agli editors.

Siamo nel 1976. Cinque ragazzi decidono di formare una band, e decidono che la loro musica non sarà ne il prog rock, che fino a quel momento era andato per la maggiore, ne il punk, che stava cominciando a nascere; decidono invece di unire il loro talento per mischiare i fraseggi di chitarra diretti, e senza troppi fronzoli, che erano propri di band come i Lynyrd Skynyrd, ai brani più melodici, più pop, se vogliamo, ma nel senso più onorevole del termine, dove pop non stà per "venduto", ma per "leggero".

La formazione è composta da Tom Scholz, membro fondatore, polistrumentista tuttofare e principale compositore (alle chitarre, al basso, all'organo, al clarinetto, alle percussioni). Oltre a lui c'è anche un ragazzo dalla voce estremamente pulita, versatile e cristallina; a mio avviso, quasi pari a Freddy Mercury. Si chiama Brad Delp, e oltre che cantare suona anche la chitarra a dodici corde, la chitarra ritmica, e le percussioni.

I nostri incidono delle demotape e le fanno girare il più possibile tra le case discografiche. Solo che non sono delle demotape normali, ma contengono pezzi che sono stati composti molto tempo addietro, già nel 1968; quindi sono stati modificati e rivisitati, raggiungendo il loro apice perfetto. Sono dei pezzi già maturi, e oltretutto suonati e registrati in modo egregio, nonostante siano delle registrazioni casalinghe. Formano in tutto e per tutto un album vero e proprio.

Ad accogersi delle grandissime potenzialità del disco è un tale di nome John Boylan, che non solo rimane sbalordito dalla levatura delle composizioni, ma addirittura fà ri-registrare alcune parti da Barry Goudreau alle chitarre, da Fran Sheenan al basso, e da Sib Hashian alla batteria e percussioni, e pubblica immediatamente il lavoro.

Quella che era essenzialmente una demotape diventa quindi un album; per la precisione un album che vende 19 milioni di copie in tutto il mondo, e a distanza di 30 anni rimane uno dei più venduti di sempre.

Quello che quest'album contiene sono 8 tracce, meno di quaranta minuti, in cui tutta l'essenza di ciò che è il rock americano è condensata, purissima. A mio parere, nessun album è mai riuscito ad incarnare così bene, a parte forse il successivo long plate "Don't Look Back", uscito a due anni di distanza, ciò che era il clima afoso e allegro delle estati americane; e probabilmente nessun album potrà farlo mai.

Quello che dell'opera dei Boston ci resta, a 30 anni da questo capolavoro, sono questo e altri 4 long plate. Questo è ciò che è stato pubblicato mentre la band era viva. Ora che è morta, sicuramente salteranno fuori centinaia di live, raccolte con inediti con alla voce Brad stesso. Questa è la politica della "Macchina", come la chiamavano i Pink Floyd, e sono sicuro che Jimi Hendrix, Jeff Buckley e tanti altri, da qualche parte sottoscriveranno. I capolavori restano comunque i primi tre album, che vi invito ad ascoltare, nella speranza che qualcuno, anche tra mille anni, si ricordi di un uomo, come altri suoi colleghi (David Byron degli Uriah Heep, Janis Joplin) ucciso dalla solitudine, ma a cui dobbiamo essere grati per averci regalato negli anni tante emozioni.

R.I.P. Boston (1968-2007)

Voto: 10

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