Alcune figure nel panorama alternative USA superano la iconografia che appartiene ai grandi "classici" della storia del rock da Jim Morrison e Kurt Cobain. Artisti in molti casi più che prolifici, figure spesso eccentriche e dal carattere tanto difficile quanto schivo, sperimentatori senza tempo come Roky Erickson, Michael Yonkers, Jad Fair, Daniel Johnston ecc. ecc. e in ogni caso votati a quella attitudine garage di cui oggi raccolgono il testimone Ty Segall oppure Joh Dwyer, sono questi che più che tutte quelle band e artisti che pubblicano su Sub Pop oppure Matador che in verità custodiscono quello spirito e quella attitudine selvaggia delle origini e invece che coltivare il culto di se stessi, rinnovano il mito del rock and roll.

John Terlesky aka Brother JT (così soprannominato dal giornalista Byron Coley) è nato a Easton in Pennsylvania nel 1962. Alla fine degli anni ottanta prende parte al revival psichedelico e forma con Dan McKinney gli Original Sins. La band si ispirava a Seeds e 13th Floor Elevators (che John cita ancora oggi come la sua principale influenza) e aveva una spiccata attitudine garage-punk: il duo si fece notare negli anni per il sound tanto semplice quanto estremo e l'atteggiamento selvaggio e provocatorio e decisamente sopra le righe. Mentre questa esperienza volgeva al termine, John, prediligendo questa volta un approccio più visionario e free-form, cominciò a pubblicare dischi come solista completamente allucinati e composti per lo più di sessioni psichedeliche sperimentali, prima di "rientrare" e riprendere il cammino interrotto con gli Original Sins e l'imprinting fondamentalmente garage.

John scrive ogni anno tra le quaranta e cinquanta canzoni e registra tutto in presa diretta con la band prima di procedere poi a un lavoro di sovraincisioni a casa. Per il suo ultimo disco ("Tornado Juice", Thrill Jockey) è ritornato a registrare in studio dopo dieci anni ai Magic Door del suo amico Ray Ketchem a Montclair nel New Jersey. Autentico psiconauta dal cuore rock and roll, il disco ripropone quella attitudine provocatoria garage con composizioni boogie e rock and roll vintage e psichedeliche e caratterizzate dal suo riconoscibile, indistinguibile rudimentale e acido suono della chitarra, ispirato da artisti come Lou Reed, Ron Asheton e Bo Diddley. Uno strumento - la chitarra - di cui tuttavia JT dice avrebbe fatto volentieri a meno e che se avesse saputo sculettare e ci fosse stato qualcuno tosto come lui a suonarla, allora avrebbe preferito limitarsi a cantare come Mick Jagger oppure Tom Jones. Una affermazione che basta di per sé a descrivere questo disco e questo artista più che tante parole che a questo punto sarebbero superflue.

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