Tra i gruppi venuti fuori negli ultimi anni da quella landa desolata e succube della più grande patria di Sua Maestà, che prende il nome di Galles, i Bullet For My Valentine insieme ai Funeral For A Friend e Lost Prophets sono sicuramente tra i nomi più gettonati.
Oggi giorno si suole definire con la targa emocore dischi che spaziano dai generi più disparati dal power-pop al pop-punk finendo all'indie rock, e che hanno poco o niente da spartire con il filone precedentemente citato. In questo discorso rientrano i Bullet che suonano metalcore, unendo melodie più soffici a parti più violente e urlate, il tutto costellato da una buona quantità di assoli e l'alternanza di chitarre pulite a impervi riff metallici in prevalenza. Detto questo il disco proprio per questa sua ecletticità si presta sia a chi è alla ricerca di qualcosa di potente e aggressivo, essendo buono tuttavia anche per chi non disdegna comunque momenti più pacati. Il concetto appena espresso trova conferma nell'uso di diverse tecniche vocali da parte del lead-singer Matthew Tuck, bravo nell'alternare il classico clean con lo screaming e ad unirli a passaggi più cupi e gutturali tipici del growl.
Non è del tutto sbagliato il paragone con i Trivium di "Ascendancy", sebbene i gallesi si possono considerare come la versione leggermente più pacata di quest'ultimi. Detto questo a mio avviso non è nemmeno erroneo etichettare i Bullet For My Valentine come la versione "metal" e "core" dei Silverstein, (band emocore di derivazione punk), visto la similitudine nell'alternare rabbia e rancore con atmosfere soffuse e malinconiche.
L'album nel complesso è abbastanza vario alternando sonorità dure e dove il gruppo pesta come un demone ("Her voice resides", "Room409") in cui specie nella prima si fanno sentire forti le influenze thrash di altri gruppi a mid-tempo che alternano quiete e tempesta ("All these things i hate", "Cries in vain", "Tears don't fall") tra cui non si può non citare la splendida traccia numero 4 ovvero "Tears don't fall" che ha una melodia decisamente indovinata. Senza dubbio il miglior episodio del platter, che si scrolla di dosso la malinconia trovando sfogo nel finale elettrico. Il riff base ricorda vagamente quello di "Smile in your sleep" dei Silverstein. Ci sono anche canzoni di classico stampo metalcore ("4 words to choque upon", "The poison", "10 years today") perfettamente riuscite , che rappresentano sicuramente i migliori episodi e tracce deludenti come "Hand of blood" che a parte il bell'assolo fluido non dice niente e altre vedi alla voce "Hit the floor" sicuramente tra le più easy listening.
La produzione e i suoni sono davvero ottimamente curati e riescono a non stancare anche dopo vari ascolti. Non vengono fatte particolari aggiunte negli arrangiamenti ad eccezione dei violini che costellano l'intro e le chitarre acustiche adoperate per larghe parti nel single/ballad "All these things i hate". Decisamente interessanti i riff e gli assoli sparsi per le varie canzoni, mentre (piccola curiosità) il basso lo si può sentire in solitario solo per pochi secondi nel bridge della bonus track "Spit you out".
Da notare come il disco sia uscito in diverse versioni "collaterali" oltre a quella classica. Detto questo "The Poison" rimane un ottimo debut di una band con potenzialità e che farà ancora parlare di essa in futuro.
Carico i commenti... con calma