Premessa doverosa. Non sono uno a cui è piaciuto "Habemus Capa"; sono uno a cui è piaciuto molto "Verità supposte". Quando uscì questo album, evidentemente, consideravo Caparezza già in declino, forse sazio del successo, invero imprevedibile, del singolone "Fuori dal tunnel" (che poi, come al solito, venne travisata).

"Le dimensioni del mio caos" invece è un gran bel lavoro. Intanto è un concept, e un concept nel 2008 non era una cosa così banale. Certo, la storiellina è flebile e spesso è attaccata con lo scotch, nonostante sia ripresa dal libro, il primo, di Caparezza stesso "Saghe mentali". In sostanza, c'è una tipa del '68, una fricchettona, che a causa di un sovvertimento dello spazio temporale piomba nel 2008, anno in cui si celebrano i 40 anni del '68 appunto, e di Jimi Hendrix. Ilaria, questo il suo nome, s'incontra con Capa, lui se ne innamora, poi lui viene arrestato, viene mandato a spalare cacca nello spazio e a lavorare in un circo, poi compare tale Luigi delle Bicocche, muratore, che sta lavorando alla costruzione dello spazio porto pugliese, e mi fermo qui che è meglio.

Capa Nostro ci dà dentro, musicalmente parlando. La varietà di generi è notevole, si va dal rap puro, al rock tendenza metal (thanks ai Ministri in cabina di regia), al cantautorato e persino qualche bel riff rock vecchia maniera. E, a differenza di "Habemus Capa", nonostante spari rime a mille all'ora, tende a contenersi e a far capire di più ciò che sta dicendo. E alcuni passaggi sono da incorniciare, ne cito due su tutti: "1-9-6-8 groupies delle band, seni nudi su Electric Ladyland"; "Non distinguono il Foglio dal Manifesto, del resto io non distinguo Libero da Gin Fizz".

Ogni tanto si esagera o si cade nel demagogico. Erano, d'altronde, gli anni della nascita dei 5 stelle e Capa Nostro ne era affascinato; o semplicemente a volte va sopra le righe ("Piacere, Luigi delle Bicocche, sotto il sole faccio il muratore e mi spacco le nocche, da giovane il mio mito era l'attore Dennis Hopper, che in Easy Rider girava il mondo a bordo di un chopper", di grazia anche no), eppure alcuni passaggi sono ai limiti del geniale. "Pimpami la storia" mette i brividi per quanto, ahimé, vera; "La grande opera" è un pezzo monumentale, tra massoni e mazzettari vari (ah, le mitiche grandi opere d'epoca berlusconiana); "Abiura di me" sfocia in un rock trascinante; "Cacca nello spazio" ha un riff di chitarra quasi pop che si mescola alla strofa rappata, e il finto infantilismo di "Io diventerò qualcuno" colpisce nel segno. Così come colpisce, e picchia duro, "Bonobo Power", il pezzo finale: una perla.

Peccato che a brillare fu soprattutto "Vieni a ballare in Puglia", che pure è una bella canzone, ma anche questa venne incredibilmente traviata, come fosse una taranta spensierata, e invece parla di cose serissime, e più che mai attuali, come gli incidenti sul lavoro.

In definitiva, un album potente, divertente, spesso incazzato, che ci riporta su piazza un Caparezza a livelli altissimi. E i successivi album non saranno da meno.

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