Tornano i Coldplay, gli enfants bourgeois dell'indie (ma quando mai?) rock anglosassone. Tornano con il concept-album "Mylo Xyloto" ('ma?l?? 'za?l?t??), e a furia di sentirsi dire (accusare?) che sono pop hanno finito col crederci davvero.
In quest'ultima fatica si confrontano proprio con il pop pop(orno). Pop come in populista, non popolare. L'autentico pop coevo, quello da classifica, quello sintetico, da autotune a palla per intenderci. Il pop dei featuring, dei synth plasticosi, dei vocalizzi balbuzienti e dislessici (vedi: umbrella-ella-ella, roma-romma-ma, pa-pa-poker face). In sostanza, non il solito soft-rock melodico, marchio di fabbrica del gruppo, che un po' per snobismo un po' per pura ambivalenza semantica abbiamo da sempre assimilato a una definizione generica di pop.
I Coldplay sfidano Katy Perry e Lady Gaga su un terreno comune, assistiti dal solito Brian Eno che, tuttavia, in questa occasione ha lasciato le redini della produzione tout-court e risulta accreditato unicamente come co-autore e influenza maxima su tutti i brani (una curiosa e deleteria reazione fonochimica definita enoxificazione sul libretto ufficiale).
L'idea di un concept album era gustosamente anacronistica e lasciava presagire una deriva progressive aggiornata allo stile garbato di Chris Martin e soci. Niet. "Mylo Xyloto" è una pop opera magniloquente, barocca e sfacciatamente populista, in cui il risultato qualitativo non corrisponde alla somma delle singole parti. E le nuove canzoni, rodate in una lunga sequela di festival estivi in giro per il mondo, non colgono tutte nel segno.
Il problema di base è l'iper-produzione dei brani, caratteristica purtroppo ricorrente nei Coldplay. Ma in questo caso si raggiunge davvero il parossismo. Ogni canzone è un'orgia di suoni, effetti, suoni effettati ed effetti suonati che si annullano a vicenda, dando vita a un'esperienza uditiva caotica, al limite della cacofonia.
La title-track d'apertura è una breve e leziosa intro a un album di pochi acuti micidiali (Charlie Brown) e molti bassi, seppur dignitosi (come i primi due singoli, Paradise e Every Teardrop Is A Waterfall).
Dunque "Mylo Xyloto" parte in quarta: Hurts Like Heaven fa il verso ai Cure di Just Like Heaven e ai gruppi New Wave anni '80 in generale. È un brano semplice, giocoso, quasi filologico nei suoi scoperti rimandi al passato. Poco importa che musicalmente rasenti l'auto-plagio dalla terza sezione di 42, ottimo pezzo del precedente Viva La Vida (2008).
Si prosegue con Paradise, designato secondo singolo. Venature hip-hop e ricercate aperture sinfoniche per un brano banalotto, con una melodia pigra e senza guizzi. Il refrain consiste in un reiterato "Para-para-paradise" che fa tanto Lady Gaga, o Rihanna (e fra poco ci arriviamo...). Ottimo successo di classifica, manco a dirlo.
Charlie Brown è l'apice del disco, sorta di remake di Life In Technicolor II dall'EP Prospekt's March. Un esempio di quella musica pop(olare) raffinata per cui i Coldplay sono giustamente celebri (Clocks, Speed Of Sound, Yellow, Viva La Vida) stavolta con dichiarate influenze dagli Arcade Fire.
Us Against The World, intensa ballata sullo stile del primo Cohen, spoglia e minimale nella versione live, si trova a fare i conti con l'iper-produzione dilagante e ne esce tutto sommato in discreta forma.
M.M.I.X, acronimo, a detta del gruppo, di "Matt McGinn Is Awesome" (McGinn è uno dei roadie della band) è una spiccia strumentale ambient che si riversa nel primo singolo dell'album, quell'Every Teardrop Is A Waterfall che prima di Paradise e del featuring di Rihanna aveva messo in allarme i fan di tutto il mondo. Un brano non brutto, ma insipido: melodia che arranca, riff di tastiera trapiantato di peso, previa autorizzazione, da I Go To Rio (già campionata per il tormentone da villaggio vacanze Ritmo de la noche). Arrangiamento derivativo, una scialba miscela di synth-pop stagionato e reflussi (gastrici?) da Lovers In Japan, uno dei migliori episodi di Viva La Vida. La struttura irregolare, priva di un ritornello vero e proprio, si stempera in un piattume che accompagna il pezzo fino agli sfacciati vocalizzi da stadio della parte conclusiva. In ogni caso, una manna per arene estive e piste da ballo.
Fa da contrappunto Major Minus, energica e perfettamente riuscita nonostante l'iper-produzione. Un breve ritorno alle atmosfere epiche di X&Y quando ancora volevano essere gli U2. Per il resto, begli assoli del chitarrista Jonny Buckland, linea di basso inventiva e prestiti (citazioni, và) da Sympathy For The Devil degli Stones (gli ooh ooh del refrain).
U.F.O. è un'altra parentesi acustica. Definita da alcuni, e non a torto, come una Faust Arp iperglicemica, è un brano gentile, senza infamia e senza lode, che apre la strada alla successiva Princess Of China featuring Rihanna (no, davvero)...
Che cazzo stavano pensando? Una canzone con enormi potenzialità, tutt'altro che scontata (il ritornello, beh, non ritorna), devastante in versione live, finisce stuprata a più riprese da una produzione inetta e approssimativa. La tanto vituperata Rihanna è sopportabile, anche se finisce per cantare più di Martin. L'onnipresente tappeto di synth può pure non infastidire. Ma la sezione ritmica è di una banalità imbarazzante, e in un brano che proprio sull'efficacia del beat dovrebbe puntare è un vero e proprio crimine (anche Umbrella era costruita su un bel beat). Ed è un crimine defraudare la chitarra di Buckland di un potenziale riff assassino. Un pianoforte sintetico che neanche Magix Music Maker per Windows 98 tintinna sullo sfondo scandendo il tempo. È chiaro che si tratta di un esperimento: ricreare in laboratorio una hit pop con sbiadite influenze r'n'b. Esperimento fallito, almeno sul piano della qualità.
La successiva Up In Flames trasuda saccarina, ma è inaspettatamente soccorsa da una produzione minimale, anche se non efficace fino in fondo.
A Hopeful Transmission, terzo e ultimo brano strumentale, riprende il tema della title-track su un delicato tappeto ritmico di calypso e introduce la piacevole ma trascurabile Don't Let It Break Your Heart, brano gemello di Every Teardrop che scimmiotta i Killers di Mr. Brightside.
Up With The Birds è divisa nettamente in due segmenti: parte sommessa con una citazione (accreditata) da Anthem di Leonard Cohen per poi aprirsi in un finale arioso aderente al titolo, con echi dal Paul McCartney di Band On The Run. Con questo afflato iperuranico si conclude Mylo Xyloto.
Difficile non notare l'assenza di Moving To Mars, già pubblicata come b-side di Every Teardrop ed ennesimo lato b che eclissa i brani degli album veri e propri, come già accaduto nel passato dei Coldplay. E questo, purtroppo, la dice lunga sulla capacità di discernimento di Chris Martin e soci, o dei loro collaboratori. Moving To Mars è intensa e trascinante, si muove con disinvoltura tra la fragilità di Parachutes e le ballate da stadio alla Fix You, un compendio di quanto i Coldplay più malinconici possano produrre. Struttura anomala alla McCartney dei primi dischi da solista, echi dei Pink Floyd di Wish You Were Here e più di un'affinità elettiva con lo spacey-pop di Rocket Man (Elton John) e Space Oddity (Bowie). Se un pezzo come Moving To Mars finisce condannato a marcire sul lato b di un singolo, per di più pubblicato solo in versione digitale, bisogna davvero cominciare a preoccuparsi.
Siamo lontani dai fasti di "A Rush Of Blood To The Head": forse dopo troppo sangue alla testa i Coldplay sperimentano i primi sintomi di una pericolosa embolia creativa.
Elenco tracce e video
Carico i commenti... con calma
Altre recensioni
Di Fede89
«Un gruppo che ha saputo rinnovarsi ogni volta (con i rischi del caso).»
«Come una candela che produce l’ultima fiamma prima di spegnersi. Speriamo di no.»
Di definitelyalex
Il successo è una brutta bestia, è qualcosa che entra dentro di te, prende il tuo controllo.
Per i primi fans dei Coldplay non resta che mettere su un vecchio disco del gruppo e sperare che la sbornia finisca.
Di Bert
Giorno nefasto quando Chris Martin si alzò dal letto pensando di voler fare un duetto con Rihanna.
Il titolo, Mylo Xyloto, non vuol dire assolutamente niente, come rivelato dal buon vecchio Chris.