La Creazione si tinge di Apocalisse, il Male sta all'Origine, come il Bene del resto: la Bibbia riletta e riveduta da David Tibet.

O anche: l'album elettrico dei Current 93.


Dopo il clamore di un "Black Ships Ate the Sky", che seppe rilanciare la Corrente nel terzo millennio e farle guadagnare un'inaspettata popolarità negli ambienti colti della musica alternativa contemporanea, "Aleph at Hallucinatory Mountain" poteva essere l'album spudoratamente piacione: due chitarre elettriche per ringalluzzire tre stronzi patiti di stoner, acid rock e psichedelia, che sempre si trovano nel mondo. E poteva essere l'album esagerato, l'album che vive del contributo di un carrozzone di talentuosi giovincelli chiamati a supportare un Tibet furbacchione in fase di rendita assoluta.

Ed invece "Aleph at Hallucinatory Mountain" grida nelle orecchie ed al cuore: Tibet c'è!, porca puttana se c'è!, e "Aleph at Hallucinatory Mountain" è un album bellissimo, anzi straordinario, tre volte straordinario.

Straordinario per l'attuale panorama musicale, che ad oggi non conosceva un'opera di tal fattispecie. Straordinario per la band, che riesce a mutar pelle ancora una volta, consegnandoci uno degli album più sconvolgenti della sua storia. Straordinario, infine, nel testimoniare lo stato di salute di un artista incredibilmente longevo che si porta sul groppone venticinque anni di carriera come se niente fosse.

E non aspettatevi un album degli Electric Wizard, né uno dei Sunn O))): "Aleph at Hallucinatory Mountain" è "semplicemente" un album dei Current 93, fresco, originale, nonostante guardi al passato, rispecchiandosi nella contemporaneità.

Nessuno griderà al miracolo, ma c'è chi piangerà.

La durata contenuta (cinquantatre minuti) giova al disegno complessivo, perché "Aleph at Hallucinatory Mountain", nonostante le chitarre elettriche e la batteria, rimane un album faticoso, certamente più abbordabile di molti altri lavori della band, ma pur sempre lontano dal rock. Un tasso di frustrazione permane, ma si gode molto, e non tanto al primo ascolto, che tutto sommato rimane stordente, ma in quelli successivi, se si ha la pazienza di ascoltare, assimilare, appassionarsi, perdonare e non chiedere quello che non si può ricevere da un album dei Current 93.

Stordente per le novità, per le sfrontatezze, per la quantità di suggestioni, diverse, cozzanti, inafferrabili al primo colpo. Otto pezzi che si muovono fra rock allucinogeno, folk surreale, suggestioni southern ed avanguardia, ma profondamente pervasi dall'indole apocalittica che da sempre costituisce il marchio di fabbrica della band: una band che sa giocare, senza farsi sottomettere, con mostri sacri come Black Sabbath, Pink Floyd, Grateful Dead e molti altri.

A prevalere è quindi lo spirito della Corrente, e ci vengono in mente, in ordine sparso, lavori come "Lucifer over London", "Horsey", "Of Ruine or some Blazing Starre", "Black Ships Ate the Sky", che rimangono tuttavia barlumi, flash, richiami fuggitivi che costellano una sofferta ed impegnativa (per il fisico come per lo spirito) scalata in alta montagna: un viaggio in salita che si stempera infine nei toni dimessi e "caveiani" della conclusiva e purificatrice "As Real as Rainbows". Un piano, un organetto, sommesse voci femminili.

Ma prima bisognerà passare dagli impervi tornanti della Montagna Allucinogena, partendo dall'imponente opener "Invocation of Almost", battesimo elettrico dell'opera, stupefacente rito propiziatorio eretto su sferzate acide di chitarra e sui ciaff dei piattoni settantiani: sorta di "Careful with the Axe, Eugene" luciferina, dai contorni di zolfo ed animata da lapilli incandescenti. Suoni lontani e poco definiti, "Costellations Warped" recita la voce tremolante, e la chitarra taglia le nostre orecchie come mai era successo in un album dei Current 93. Polverone negli occhi e vento che ustiona la pelle, il Mondo ha origine dal Caos, l'Inizio si modella negli stampi della Fine fra i vapori della Creazione, eppure tutto suona familiare, seppur stupefacente, come se non potesse essere altrimenti.

Ancor più che in "Black Ships Ate the Sky", che era stato un album corale, "Aleph at Hallucinatory Mountain" è l'album che vede Tibet vero protagonista (chitarraio e mixarolo, oltre che rancido vocalist): un Tibet che, dato il contesto, avrebbe potuto esuberare, ma che invece non rinuncia all'indole cantautoriale sviluppata negli ultimi lavori, preferendo assestarsi su un variopinto recitato, inevitabilmente denso di pathos e sentimento, non privo tuttavia di quei proverbiali guizzi isterici che contraddistinguono da sempre la poetica allucinata dell'artista.

Senza nulla togliere, naturalmente, all'impegno certosino dei suoi comprimari (vecchi e nuovi amici, parenti, bambini, la moglie e perfino una pornostar: uno stuolo di personaggi che non val la pena elencare, perché altrimenti sembrerebbe di fare la lista della spesa, piuttosto che scrivere una recensione), che di certo iniettano linfa vitale, ma il cui ruolo appare come quello di impreziosire di sfumature il magma chitarristico che pervade l'intero lavoro.

Nota di merito alla provvidenziale elettronica del fido Stapleton (da venticinque anni a fianco di Tibet!), chiamata ad ispessire il suono laddove la chitarra ritmica ricama le sue gesta in modo tutto sommato prevedibile, mentre a fare la sostanza dell'album sono le stratificazioni dei suoni, i cori in lontananza, le singole trovate che emergono solo dopo svariati ascolti.

Ok, le chitarre sono sega, e i timpani più semplici avrebbero senz'altro preferito distorsioni più possenti e stonanti strascichi di feedback, ma la Corrente non rende conto alle esigenze dei timpani semplici: v'immaginate gli otto minuti di "On Docetic Mountain", ruvide chitarre incastonate in lacrimevoli violoncelli, suonate dai Neurosis? Oppure, i dieci minuti di "Not Because the Fox Barks" suonati da dei veri signori dello stoner? Eppure "Not Because the Fox Barks", che pure rappresenta quanto di più audace in direzione rock abbiano mai combinato i Current 93, è semplicemente allucinante, straniante, illogica, trasportata da chitarre scarne e dalla voce sgraziata di Tibet, rachitico Ozzy apocalittico. E scusate se mi metto a fare lo sterile analitico alla stregua del peggior fan dei Dream Theater, ma chi è oggi che vi dà due minuti come quei due minuti che seguono il minuto ottavo e il quinto secondo di "Not Because the Fox Barks"? Il Tibet che rimane da solo con il pianoforte, dopo otto minuti di sarabanda chitarristica e bislacchi mantra canori, è, nonostante tutto, pelle d'oca! E questo solo basta per giustificare l'acquisto dell'album, se non, in senso lato, la nostra esistenza su questo mondo ("The cripple and the corn...the cripple and the corn!")

Il resto è magia, sono rocce frastagliate tinte d'arancio al tramonto, sono le delizie acustiche rinvenute in "Poppyskins" e "UrShadow", sorrette dai preziosismi di una chitarra desertica, ascetica, spirituale. O il sublime blues apocalittico di "26 April 2007" (probabilmente il pezzo più sensazionale), sfregiata da chitarre crepuscolari come mai s'erano sentite in un album dei Current 93, e illuminate dall'oscuro recitato (sublime anche quello) di Tibet.

L'unico pezzo interlocutorio rimane l'obliqua e vagamente slintiana (!!!) "Aleph is the Butterfly Net", pur sempre funzionale ad un concept che fa da collante ad un'opera che, nonostante le sue "altalenanze soniche", si rivela essere compatta come lo sono stati i lavori più importanti della Corrente, mai come in questo caso corrente fluttuante di emozioni, colori, sensazioni, spirito ed energia.

Poco da aggiungere a questo punto: "Aleph at Hallucinatory Mountain" è un album bellissimo, l'ennesimo capolavoro targato Current 93, le cui quattro stelle (immeritate, gente, immeritate!) sono assegnate solo perché il lavoro deve essere necessariamente rapportato ad una poderosa storia che ha visto l'invenzione di un genere prima (l'industrial esoterico) e poi il perfezionamento di un altro (il folk apocalittico). Ma quanto siamo lungi dal (meritato fra l'altro) sonnellino sugli allori! Poiché "Aleph at the Hallucinatory Mountain", preso nella sua e nella vostra solitudine, è quanto di più bello ed intenso vi possa capitare di ascoltare in questo anno 2009: un album che, a due settimane di ascolto intensivo, sopravvive e continua imperterrito a crescere, senza mostrar la minima intenzione di fermarsi!

La scalata è lunga, e volge all'Infinito...

8

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