Un dischetto veramente bello e interessante questo qui de i Dead Rider, formazione che fa parte della scuderia Drag City e capitanata dal chitarrista Todd Rittman (ex U.S. Maple) e completata da Matthew Espy (batteria), Andrea Faugh (tromba, tastiere), Thymme Jones (synth, fiati, batteria).

In bilico tra avanguardia e tradizione, la formazione di Rittman pubblica il suo quarto disco lo scorso ventidue settembre: un lavoro a due facce e che gli stessi redattori dell'etichetta di Chicago, USA, hanno definito come un 'mostro' oppure - meglio - 'una maledetta e dannata chimera' pulsante di vita e dove si incontrano le idee di brutale e quella di bellezza. Un disco definito come non necessariamente innovativo, ma dove sicuramente viene messa in discussione una bella fetta della musica alternative US contemporanea.

'Crew Licks' è effettivamente un disco dove si mescolano sonorità diverse e che rimandano a generi diversi e dove si incrociano nella specie sonorità di avanguardia art-rock di derivazione no-wave e sempre attuali in una certa determinata scena underground USA e quel sound blues acido anni sessanta-settanta di marca Blue Cheer oppure MC5. Solo che questo sound mentre a volte ci viene proposto in una maniera più o meno evidente come ad esempio nella opening track, 'Grand Mal Blues', dove il sound blues rudimentale Gallong Drunk oppure Nick Cave domina su riverberazioni droniche, oppure nel glam-rock stile T. Rex oppure David Bowie di 'The Listing Rock', il blues acido, noise, rumorista e imperniato sulla potenza del suono del basso di 'Too Cruise'; in altre occasioni questo viene invece letteralmente remiscelato in sonorità scratching e dub con suggestioni quasi neo-soul music tipo James Blacke come 'Ramble On Rose' oppure all'interno di schizofrenie di avanguardia The Residents e Pere Ubu come '(Title Redacted)' e suggestioni e ululati dub-step Radiohead mescolati a composizioni e songwriting di marca Fugazi ('Bad Humours').

Improntato sulla modulazione di un certo sound industrial, ravvisabile nella reinterpretrazione in chiave futurista del blues del delta di 'The Ideal' oppure nella acidità noise di 'The Floating Dagger', lo spirito di questo demone a due teste ideato da Todd Rittman e compagni trova la propria definitiva materializzazione nella conclusiva 'When I Was Frankenstein's', un incubo sonoro che mescola acidità e chitarrismi Mars Volta con spinte sperimentali Les Rallizes DeNudes oppure progressive-rock White Heaven.

Un disco che definitivamente va giù, nonostante la apparente complessità, con la facilità di un bicchierino di Froben sciroppo e che da questo punto di vista si rivela così allo stesso tempo tanto analgesico quanto corroborante. Cioè: fa bene alla salute. In particolare a quella delle proprie orecchie.

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