Se c'è una cosa che non mi piace nelle rock bands americane degli anni novanta è la disarmonia, la discordanza, la eccessiva diversità tra i brani dei loro dischi. Vabbè che magari gli americani magari non se accorgono neanche, e per loro un acustico di Neil Young non differisce da un unplugged di Kurt Cobain. Un disco d'una band del tempo, poteva, per esempio, avere in tracklist una canzone degli Stooges, una di Springsteen, una di John Denver, un songolone college punk, un pezzo grunge radiofonico e uno non, ed ancora  un poppetto da juke box anni '60, una folk song, una ballata di Dylan e quattro miliardi di Rickenbecker accanto alle solite Gibson...  Il risultato, ovviamente, sarebbe sempre e comunque poprock.

In un certo senso queste bands vanno apprezzate, perché perlomeno hanno dimostrato di conoscere i generi musicali, d'avere imparato più lezioni da più maestri. Ma vuoi fare un disco root rock? Mettici solo pezzi root rock!Uno di post punk? Che aspetti? Fallo! Lo stesso dicasi se vuoi essere folk, post-grunge, country, rockabilly, figlio dei fiori... Che ci sarebbe di strano ad amare l'omogeneità?

Infondo le bands più famose, R.E.M. in primis, hanno scelto così, no? Un disco acustico, poi un altro acustico, quindi  uno rock come "Monster"... Io comunque mi potrei anche accontentare di ballads semiacustiche alternate a pezzi pop rock da classifica, come fu per i Soul Asylum di quell'epoca.

Ancora una volta dunque sono alle prese con la rock band americana che ci mette di tutto un po': ci sono un paio di brani epici alle Simple Minds con le chitarre, uno più riconducibile ai Soundgarden e l'altro che pare dei My Vitriol, due college punk rock esplosivi ed elementari, una salsa-rock che sembra il pezzo di Santana col cantante dei Matchbox 20, un quasi glam rock, un funky rock tradizionale e pieno di wah-wah, una specie di delicatissima bossa nova... Tutta roba pressoché decente, ma pare d'ascoltare una compilation. Perché dunque non approfondire le varie capacità-velleità-inclinazioni proponendo albums meno variegati-svariati-vaghi? E soprattutto perché non approfondire completamente quello che, in fin dei conti, è il loro gusto migliore, nondimeno il più originale, e cioè quella sorta di wave-root (!) pieno di chitarre liquide che tanto fanno pensare ai Cure campagnoli? Una musica mai troppo confidential, delicata come poco nel pop rock anche quando viaggia veloce, senza dubbio su cui puntare.

Questi ragazzi, i Deep Blue Something, non saranno stati nulla di particolare, però brani dell'ossatura non impossibile quali "Hell In Itself", "Dr. Crippen" o "Pullman, Washington" sono esempi di ottima personalità e di originalità. Strutture delicate e leggere che s'accompagnano ad arrangiamenti chiari e sensibili, musica così buona che viene da chiedersi come mai ce ne sia così poca in questo "Byzantium" colmo di brani già sentiti.

Ci sono bands cadute nell'oblio per colpa di chissacchì, altre perché semplicemente di scarsi contenuti. Ed altre che non hanno avuto l'intelligenza od il coraggio di essere se stesse, e di volare sufficientemente alto. Quel qualcosa di inesplorato, forse per mancanza appunto di coraggio, quel "qualcosa di blu scuro" era il cielo.

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