Estate (o meglio Inferno) 1997. Mi trovavo ad Almeria, Andalusia, Spagna. Agosto. Mai sofferto (e amato) così tanto la calura in vita mia. Avevo oltrepassato la metà dei miei tre mesi e mezzo in terra iberica quando ho visto tappezzare i muri della città con un manifesto graficamente super accattivante che promuoveva un concerto lanciato dall’etichetta Bruto. Due gruppi d’apertura. Di uno non ricordo il nome, l’altro si chiamava Pesadillas Electronicas De Extremadura (Incubi elettronici dall’Extremadura). Poi i due nomi che contano. Narco prima e Def Con Dos per chiudere. Chiedendomi di cosa si trattasse sono tornato a casa dei miei ospitanti per avere risposte. Liquidato con un “toma” mi è stato dato un nastro e sono subito andato in camera mia ad ascoltarlo. Si trattava dell’album "Alzheimer" dei Def Con Dos. Distante anni luce dai miei gusti ma interessante. Ero lì per visitare un paese intero e conoscere i gruppi nazionali. Ma ero, come dire, fermo ai classici Baron Rojo, Extremoduro, Heroes Del Silencio, Reincidentes.

Con i Def Con Dos si cambia radicalmente genere e stile (di vita). Il booklet di "Alzheimer" sembrava un manifesto di guerriglia civile. Loghi dei più disparati gruppi anarchici, motti, grafiche diversissime dall’urban street al filosovietico. “Roba da centri sociali loro”, pensai. Poi sono stato al concerto. Garantisco, uno dei più violenti, drogati ed esaltanti a cui abbia mai assistito, con uno stage diving a cascata senza alcun controllo di security. Componenti delle band a fumare e bere con il pubblico. Il pubblico! Punk, rappers, belligeranti, anarchici, rasta, red skins e altri. Ragazzi e ragazze uniti dal filo dell’attivismo. Politico, sociale, probabilmente armato. Non lo so. So solo che mi è sembrato di vivere una rivoluzione, appunto. A proposito dei membri delle band, mi capitò anche di trovarmi per caso accanto al growler dei cyber techno hard core Narco che, incuriosito dalla mia provenienza, iniziò a bere con me fino alla sbornia. Alla fine mi regalò il cd loro, quello dei Def Con Dos e una fascio di manifesti del concerto. Il giorno dopo, al risveglio, sul tardi, l’immediata voglia di ricaricare le batterie mi dice di andare dritto (e claudicante) verso lo stereo. Scarto il cd dei DCD e, mentre nella intro si ascolta la voce cazzuta di un tizio che lascia un messaggio di minacce nella segreteria telefonica della band, sfoglio il booklet che è impaginato meglio ancora di quello di "Alzheimer" e presenta un maggior numero di loghi e motti. Resto colpito da quello della Agrupacion De Mujeres Violentas, femministe con gli attributi. Parte la musica e rivivo la serata precedente. Non sono dei fenomeni ma, sinceramente, in Spagna non credevo di trovare dei ragazzi così preparati musicalmente e convinti fin dentro al midollo spinale delle loro idee. Idee che significano alternativa. Alternativa che significa schifo per il mainstream.

"Ultramemia" è pentolone voodoo messo sui fuochi notturni di periferia. Dentro c’è il succo di una musica che parla mille linguaggi e una sola lingua. Lo spagnolo appunto. Cantano in tre. Suonano in tanti. Il loro stage, la sera prima, era davvero esteso perché doveva contenere due chitarre, un basso, una batteria, tre vocalist, un dj e un bel po’ di ottoni e percussioni. Sembra proprio che i DCD abbiano voluto fare da sempre un mix dei generi alternativi per antonomasia e politicamente determinati. Le contaminazioni sono molteplici e devo davvero fare un’opera di sforzo e di ascolto di gruppi a me non troppo vicini per essere preciso. Di base sono certo di una cosa. I DCD hanno preso molto dai Beastie Boys ma questo non significa che siano come i BB. Anzi. Il cantato ha l’impostazione rap / hip hop con tre toni diversi. Si va da una voce bassa ad una acuta e squillante, che intervengono a seconda dell’intensità del brano. Il genere è una pura fusion di musiche distanti ma legate una all’altra da affinità sonore e concettuali che le vedono disposte su un filo unico. Si va dal rap all’hip hop, dal punk all’hard core, dal free jazz al funky, dall’elettronica alla techno senza disdegnare alcuni passaggi degni del metal. Il tutto in una convivenza che sa di gruppi antagonisti organizzati. Convivenza interrotta da troppi intermezzi strumentali e vocali che portano il numero delle tracce complessive a 17 (sgrat). Ma che non disturbano perché i testi, supportati da queste evidenze, diventano ancora più forti. Si parla di polizia assassina, di chiesa incoerente, di genitori mostri, di animali da salvare, di donne da rispettare, di droga, di libertà sessuale in un insieme di parole che però non cadono nel cliché perché assemblate in maniera originale e metricamente perfetta. Alcuni brani sono violenti, rapidi ed invettivi. Altri calmi, sornioni e costruiti su fiati groovy. Altri chimici con rimandi all’atmosfera psicobbestia dei rave. L’amalgama definitiva risulta quindi essere molto urbana, rabbiosa, anarchica, multi verso e manifestamente schierata verso chi difende i diritti degli esseri umani calpestati dal capitalismo. È proprio lo schieramento ideologico (culturalmente molto ricco) che può allontanare chi la pensa diversamente (oggi cantano “hipotecate tu”, parlando del diritto alla casa e continuando ad affrontare in maniera frontale la politica iberica), insieme al cantato spagnolo, che effettivamente può disturbare e spazientire molti. A chi non è insofferente e politicamente schierato altrove, consiglio un ascolto che al 100% non sarà monotono. Canzoni come "Ultramemia", "Que No Te Cojan", "Basta De Nacimientos", "Doctor Tricornio" e (soprattutto) la funkeggiante "Promiscuidad" hanno il loro perché. E forse più di uno. Per me è un disco tra il 3,5 e il 4. Chi li conosce mi faccia sapere cosa ne pensa.

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